lunedì 26 settembre 2016 - Phastidio

Commercio: surplus tedesco e balordoliberalismo italiano

 Sabato Matteo Renzi, impegnato allo spasimo ad ottenere dalla Ue nuovo deficit di pessima qualità con cui impiccare il paese, ha detto che “la Germania ha un surplus commerciale di 90 miliardi di euro, che tiene fermi anziché investirli”. Oggi, in suo soccorso, accorreFederico Fubini sul Corriere con un’altra perla, sull’export tedesco: “Si tratta di una somma così grande che le imprese, lo Stato e i cittadini tedeschi non riescono a trasformarla in consumi e investimenti produttivi. Preferiscono la liquidità, dunque il risparmio inerte continua ad accumularsi”.

Ora, premesso che il surplus globale tedesco nel 2015 era di circa 250 miliardi e non 90, sarebbe utile sapere che quello con l’Eurozona è in sostanziale equilibrio. L’avanzo bilaterale più ampio i tedeschi lo hanno con gli Usa e con il Regno Unito. L’euro, indebolitosi dopo l’azione di Mario Draghi, ha verosimilmente giocato un peso in questo andamento esplosivo dell’avanzo commerciale extra-eurozona, ma sarebbe utile ricordare che anche l’Italia esporta nei mercati fuori dall’euro, esattamente come la Germania. Ricordate gli editoriali nostrani in cui ci si rallegrava per l’indebolimento dell’euro?

Che poi si debbano leggere sciocchezze galattiche da un premier economicamente analfabeta e da editorialisti che corrono in suo soccorso, fa parte delle regole del teatrino italiano. Questo concetto, secondo il quale l’avanzo commerciale sarebbe pienamente assimilato al risparmio di una famiglia ficcato sotto il materasso (“tenuto fermo”, esattamente come diceva Renzi dei poveri italiani che aumentavano i depositi bancari, con ciò stesso rendendo disponibili quei fondi all’economia nazionale) è tuttavia desolante. Un avanzo commerciale trova contropartita in movimenti di capitale, o a livello di portafoglio o di investimenti diretti esteri.

Si può certamente chiedere ai tedeschi di fare deficit entro le loro capacità fiscali, per spingere la congiuntura dei paesi con cui la Germania ha il maggiore interscambio, sempre che i tedeschi medesimi non reagiscano al deficit aumentando il risparmio precauzionale (loro sono fatti così, che possiamo farci?), e vanificando quindi l’espansione. Ma occorre ricordare che, per esportare in Germania, serve essere competitivi, cioè avere strutture di costo e produttività adeguate. Perché, diversamente, le commesse tedesche le vincono le aziende di altri paesi. Sarebbe soprattutto utile ricordare che la sopra o sottovalutazione del cambio effettivo reale di un paese non è scolpita nelle Sacre Scritture ma è un dato dinamico, cioè mutevole. A meno di mettere fuorilegge le Mercedes, Bmw, Volkswagen, con cui la Germania realizza metà del proprio surplus commerciale in giro per il mondo. Occhio, però, ché numerose aziende italiane di eccellenza sono fornitrici di case tedesche.

Certo, si può sempre vagheggiare il ritorno all’Epoca Aurea della lira che spezzava le reni al mondo. Oppure ricordare quello che è accaduto realmente in quell’epoca, che ci ha portato sin qui. Cari pesci rossi d’Italia, ricordate di restare uniti. Che dicevamo, che l’ho scordato?

Ma proseguiamo pure con la nostra sceneggiata, per carità. Tanto il mezzo punto di deficit-Pil in più è in arrivo da Bruxelles, e Renzi la sfangherà per un altro anno. Noi assai meno, in prospettiva, ma di quello troverete assai poche tracce negli editoriali dei nostri giornaloni. I tedeschi destabilizzano l’Eurozona con il loro ordoliberalismo, gli italiani si percuotono con voluttà le parti intime con una originale dottrina economica che potremmo definire balordoliberalismo.

Foto: Wikimedia/WhiteHouse.gov




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