mercoledì 23 settembre 2015 - Giovanni Graziano Manca

Cinema & letteratura combinazione ‘necessaria’ (pt.1)

Fin dai suoi primordi l’arte cinematografica ha intessuto rapporti privilegiati e spesso necessari con altre forme di espressività artistica e creativa. L’intersezione e la stretta compenetrazione che si crea tra cinema e musica, cinema e teatro, cinema e danza e soprattutto, tra le molte altre, tra cinema e letteratura, testimoniano di questa necessità della settima arte di utilizzare canoni espressivi che con essa si fondono per dar luogo ad una ulteriore composita forma d’arte e di creatività: il film.

Possiamo individuare un denominatore comune tra film e opera letteraria nell’esigenza di raccontare e chiarire poi che la natura di tale connessione può essere efficacemente messa in luce attraverso una preliminare definizione di termini come racconto e narratività.

‘Se il racconto’, osservano Rondolino-Tomasi, ‘è un dato concreto e fattuale – ad esempio Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa è un racconto letterario e Il Gattopardo di Visconti è un racconto cinematografico – la narratività va invece intesa come “un insieme di codici, procedure e operazioni, indipendenti dal medium nel quale esse si possono realizzare, ma la cui presenza in un testo ci permette di riconoscere questo ultimo come un racconto” [gli autori citano qui Andrè Gardies, 1993, Le rècit filmique, Hachette, p.28, n.d.r.].

La narratività ha così un natura virtuale e non può esistere concretamente che nel momento in cui è diventata un racconto. Il rapporto tra narratività e racconto è in sostanza simile a quello fra grammatica e lingua. Il problema che allora ci si è posti nell’ambito della narratologia, la disciplina che studia la narratività, è stato quello di individuare quell’operazione minimale di narratività che, fatta propria da un testo, mi permetta di riconoscerlo come racconto.’ [Gianni Rondolino – Dario Tomasi, Manuale del film, Utet, Torino 2005, p.9]. Non solo assistere alla proiezione di un racconto cinematografico e leggere una narrazione letteraria richiede all’occasionale fruitore del film e a quello del libro che contiene una storia o un romanzo lo svolgimento di azioni completamente diverse l’una dall’altra, ma le regole grammaticali e le chiavi interpretative che ci consentono di impadronirci del significato dell’opera cinematografica sono assai differenti rispetto a quelle che utilizziamo quando ci accostiamo a un’opera letteraria.

Ha poco senso sostenere che un determinato film è meglio riuscito o più interessante rispetto all’opera letteraria da cui è tratto o a cui è ispirato: si tratta infatti di due modalità espressive tra loro completamente differenti e pertanto non valutabili secondo identici metri di giudizio.

Ricorda Maurizio De Benedictis che il regista americano Howard Hawks ‘fu amico dei due principali scrittori americani del suo tempo, Hemingway e Faulkner. Col primo andava a caccia e pesca; e in una di queste occasioni gli chiese di scrivere per il cinema. Quando Hemingway si schermì, negando di saperlo fare, Hawks gli disse che invece lui era in grado trarre un buon film dal romanzo più scadente dell’amico, Avere e non avere. Come vedremo, vinse la scommessa. […] Il film, che Hawks dice tratto quasi per scommessa dal libro piu “brutto” dell’amico Hemingway – lavorando non su ciò che v’era di triste, il tema dell’invecchiamento dell’eroe, bensì sullo slancio dell’incontro con una ragazza molto più giovane - , s’ispira anche al clima di Casablanca…” [Maurizio De Benedictis, Il Cinema americano dalle origini ai nostri giorni, Newton & Compton, Roma 2005, pp. 88 e 96.]. L’esperienza hawksiana ci ricorda che una eventuale comparazione tra film e racconto letterario scritto può essere effettuata utilmente quando si tratta di accertare la rispondenza del primo allo spirito del secondo e di analizzare criticamente, se ve ne sono, tutte le differenze nello svolgimento della trama e quelle di significato che emergono infine rispetto al romanzo una volta esaurita la fase di trasposizione cinematografica e le motivazioni che hanno portato il regista del film a discostarsi dalla narrazione scritta.

Il film opera d’arte dotata di impianto narrativo (opera, cioè, che racconta una storia), può essere basato su un soggetto e su una sceneggiatura che possono essere trasposti da un’opera narrativa inizialmente destinata alla divulgazione scritta (un romanzo) o da un’opera che ha già trovato rappresentazione in ambito teatrale. Di per sé, il soggetto originale di un film, quello, cioè, non desunto da preesistenti opere letterarie di tipo diverso e la sceneggiatura di un’opera cinematografica costituiscono un’opera di carattere letterario e sono scritti spesso da scrittori di professione

Molti sono, inoltre, i cineasti attivi in campo letterario e gli scrittori che comunque attivamente si occupano o si sono occupati di cinema raggiungendo, anche in quest’ultimo campo nelle vesti di regista, soggettista, sceneggiatore, e via dicendo, risultati di altissimo livello artistico-creativo.

Tra opera letteraria destinata alla pubblicazione e lo scrivere per il cinema, però, esistono differenze di fondo sensibili.

Mentre la letteratura e la narrazione destinata alla pubblicazione cartacea si sviluppano in genere liberamente e incondizionatamente e sono quindi interamente dovute al genio, alla sensibilità e all’intento dell’autore che con esse desidera trasmettere al lettore una esperienza oppure un certo messaggio, la realizzazione di un film, ben lungi dall’essere, almeno dal punto di vista pratico, espressione unica del regista, risulta gravata da numerose limitazioni di carattere tecnico, finanziario e organizzativo che influenzano il risultato artistico finale. La componente letteraria di un’opera cinematografica sembra porsi, per così dire, in secondo piano rispetto alla componente visiva e scenica della stessa. Il regista americano Ethan Cohen è autore di una raccolta di brevi racconti che ha per titolo ‘The Gates of Eden’ ; riferendosi alla propria esperienza di scrittore egli sostiene di aver potuto, grazie alla propria attività letteraria, ‘finalmente apprezzare la differenza tra l’approccio assolutamente personale della scrittura non cinematografica e la situazione di imprescindibile collaborazione del cinema’. [Ethan Cohen, intervistato da Antonio Monda, nell’edizione italiana del libro citato intitolata I cancelli dell’Eden, Einaudi, Torino 2006, p.VIII]. Una visione diffusa, quella di Cohen, che conferma quanto il cinema sia un’arte fortemente condizionata da eventi e circostanze esterne

La trasposizione cinematografica di un’opera letteraria può avvenire o meno in modo del tutto coerente con i contenuti e l’intento dell’autore sul fronte del significato di quest’ultima. Non di rado l’autore dell’opera da cui il film è tratto è chiamato a dare il proprio fattivo contributo quando si tratta di scrivere la sceneggiatura del film e in generale quando siano ritenuti necessari per ottenere una corretta o efficace trasposizione del romanzo, suoi ulteriori interventi interpretativi o suggerimenti di varia natura. Altre volte il racconto letterario fornisce al regista solo il pretesto e una generica ispirazione. In questi casi il regista filtra la storia che è oggetto dell’opera letteraria attraverso la propria particolare sensibilità. Il film, così, potrà discostarsi in modo più o meno rilevante rispetto ad una o più particolari componenti del semplice racconto letterario. Il problema di cui qui si parla si pone, naturalmente, anche nell’ambito teatrale e in quello del melodramma. La rappresentazione delle opere teatrali dirette da Luchino Visconti, per esempio, è stata, in più di una circostanza, accompagnata da forti critiche e polemiche motivate da una presunta eccessivamente personale lettura del testo da parte del regista. E’, questo, il caso delle opere Il giardino dei ciliegi, di Cechov, messa in scena dal regista lombardo nel 1965, di After the fall, di Arthur Miller, anch’essa rappresentata nel 1965 e Tanto tempo fa, di Harold Pinter; della messa in scena di quest’ultimo dramma lo stesso commediografo inglese rimase talmente contrariato che commentò: ‘Non ho mai sentito parlare o assistito ad una rappresentazione come questa che prescinde totalmente dagli intenti dell’autore e che introduce distorsioni così gravi e scioccanti che io considero un travisamento.’ [cit. in: Gianni Rondolino, Luchino Visconti, Torino 2003, p.510].

 

 




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