sabato 24 ottobre 2015 - Giovanni Graziano Manca

Cinema d’altri tempi: i tesori DEFA dell’ex Germania est

Alla fine del secondo conflitto mondiale la conferenza di Yalta consegnò alla storia una Germania divisa in due parti. Due le zone di influenza politica che derivarono da tale smembramento: ad occidente quella che in seguito sarebbe diventata la Repubblica federale tedesca, sulla quale gli Stati Uniti d’America esercitavano il proprio controllo, ad oriente la futura Repubblica democratica tedesca (DDR), posta sotto il dominio politico di Mosca. Le due parti di quell’unica nazione tedesca diventarono ben presto due mondi completamente diversi tra loro; differenti politicamente ed economicamente, lo furono subito anche sotto il profilo sociale e culturale. La Germania federale sviluppò la sua vocazione capitalistica, entrò successivamente a far parte della Nato e fece suo, pur tra le tante difficoltà che conseguirono al disastro bellico, lo stile di vita dei paesi occidentali più progrediti, in particolare quello degli USA. La Germania Est entrò a far parte del Patto di Varsavia e abbracciò l’ideale del socialismo più rigoroso. Nell’ambito della futura DDR emerse immediatamente la necessità, anche attraverso la cultura, l’arte, e il cinema, di sostenere gli ideali antinazisti e più in generale quelli della classe operaia.

La DEFA, unica impresa tedesco orientale che produceva film per il cinema, costituiva la più grande industria culturale della DDR. Il dato viene fornito da Christina Schmidt nel libro Al di là del muro – Cinema e società nella Germania Est 1945-1990 (Clueb, Bologna 2009).

Dalla Schmidt apprendiamo anche che nacquero negli studi DEFA oltre diecimila film; molti lungometraggi per il cinema e film per la televisione, per bambini, favole, lungometraggi di genere western e musical, film d’avventura, di spionaggio e d’animazione. Il patrimonio DEFA, peraltro, poteva essere quantificato con numeri di tutto rispetto: 127 edifici, 600.000 strumenti scenografici, 50.000 mobili d’arredamento, 150.000 costumi, 2.450 dipendenti (tra i quali 44 registi).

Come è facile immaginare, la DEFA fu istituzione pubblica costantemente soggetta a epurazioni politiche e alterne vicende di carattere gestionale. Non sempre i film prodotti, che comunque difficilmente potevano essere visti al di fuori della Germania Est, incontrarono il gradimento del regime. Su molti di essi si abbattè spesso la mannaia della censura di Stato. Alcune importanti opere, anzi, furono presentate al pubblico e iniziarono ad avere notorietà meritata solo dopo la caduta del muro.

Una decina di anni fa il cinema tedesco orientale è approdato anche al MOMA di New York, circostanza che ha offerto al mondo la possibilità di conoscere e apprezzare la cinematografia DEFA e di riscoprire una serie di capolavori che costituiscono un patrimonio preziosissimo per l’arte cinematografica mondiale.

 

Se ne segnalano alcuni:

 

Berlin Ecke Shonhauser (Berlino, angolo Shonhauser)

E’ un film di Gerhard Klein del 1957 che risente inequivocabilmente delle contingenze storiche. Nonostante non esistesse ancora fisicamente il muro di Berlino era tuttavia ben radicata tra le due popolazioni tedesche, una costruzione divisoria di natura prettamente ideologica. Germania Ovest (RFT) e Germania Est (RDT): due mondi diversi, modi di vivere differenti. Il regime instaurato da Mosca non piace a un gruppo di ragazzi ribelli; alcuni di essi sono alla continua ricerca di una vita meno grigia e più stimolante, quella che il benessere e gli stili di vita seguiti nella parte occidentale della grande Berlino sembra promettere loro. Ogni tentativo di fuga viene però frustrato dalle forze dell’ordine. La morale del film non appare apertamente propagandistica ma sembra semplicemente poggiare sull’atteggiamento comprensivo e quasi paterno dell’ufficiale di polizia che tenta di persuadere e recuperare questi mal integrati giovani a valori che solo la vita nella DDR può assicurare.

Spur der steine (Tracce di pietra) 

Dirigismo economico di stampo sovietico che influenza anche l’organizzazione di un piccolo cantiere edilizio, in questo magnifico lavoro di Frank Beyer del 1966. Il lungometraggio, una delle perle assolute del cinema tedesco orientale, fece assai discutere quando uscì. Quasi subito ne fu vietata la visione perché l’arroganza del regime politico imperante ne risultava lucidamente messa a nudo. Potere politico, livelli parossistici di burocrazia, pianificazione economica condotta fino a condizioni estreme e, in primo piano, un intreccio amoroso a tre, sono gli elementi su cui è fondata la storia piuttosto verosimile raccontata da questo film da cui non è in alcun modo possibile prescindere qualora si intendesse accostarsi al cinema tedesco.

Das Kaninchen bin ich (Il coniglio sono io) 

Eccellente pellicola del 1966 (la regia è di Kurt Maetzig), questo film rappresenta una critica aperta e feroce al sistema politico della Germania dell’Est nel periodo in cui venne costruito il muro di Berlino. Osteggiato e apertamente censurato dal regime filo sovietico, nel lungometraggio si trovano mirabilmente sintetizzate le tematiche politiche e sociali più ricorrenti in quegli anni: il problema della giustizia, l’odio tra fazioni politiche contrapposte, il clima incipiente di guerra fredda e di repressione delle manifestazioni di intolleranza al regime, anche quelle più innocue. Nel film di Maetzig il regime, da fiero sistema politico rivoluzionario e antinazista trasformatosi nel tempo, a sua volta, in regime spietatamente autoritario i cui apparati sono incapaci di gestire la giustizia, viene mostrato in tutta la sua contraddittorietà. Tra le tematiche sociali che il film presenta in sottofondo spiccano quella della condizione della donna e dei rapporti adulterini (come quello, che fa da filo conduttore ai contenuti del film, che si sviluppa tra Maria e il giudice che condanna il fratello di quest’ultima a tre anni di carcere) non ben visti dal regime. Tra le pellicole più interessanti dell’intera produzione DEFA, mantiene ancora oggi tutto il fascino della filmografia in bianco e nero; contiene altresì alcuni richiami visivi al cinema espressionistico degli anni Venti.

Die legende von Paul und Paula (La leggenda di Paul e Paula)

Pare che questo lungometraggio di Heiner Carow uscito nel 1973 non abbia subito, al pari di altri, gli interventi della censura di Stato. Eppure, sullo sfondo di questa storia di amour fou, tra sesso (pur non esplicitamente mostrato), musica beat, adulterii, vari riferimenti ai costumi giovanili che cambiano, all’emancipazione femminile e all’abbattimento del vecchio per costruire il nuovo (i vecchi palazzi che cadono per lasciare il posto a quelli di ultima costruzione sono una costante nel film), gli elementi di eversione sono disseminati in quantità. E’ il Sessantotto che approda nella Germania Est, sia pure, comprensibilmente, con un poco di ritardo. Un film denso di motivi di riflessione all’interno del quale non mancano momenti di liberatoria comicità.

Die Beunruhigung (L’agitazione).

I temi politici, in questo lungometraggio del 1981 firmato da Lothar Warneke, sono posti in secondo piano. Vi si trova invece una articolata disamina di temi sociali molto sentiti nella DDR nel periodo in cui il film fu girato. Un film curiosamente girato in bianco e nero che intende sottolineare, con modalità vagamente documentaristiche e anche a mezzo della particolare fotografia, la forte drammaticità delle tensioni emotive e la problematicità di alcune situazioni esistenziali quotidiane vissute dalla non più giovanissima Inge (l’attrice Christine Shorn), protagonista assoluta di questo capolavoro.

Tra i films DEFA di più grande spessore cito anche le seguenti tre opere: Sabine Kleist, 7 jahre (Sabine Kleist, 7 anni), 1982, di Helmut Dziuba; Der Dritte (Il terzo), 1972, di Egon Gunther; Solo Sunny (Assolo Sunny), 1980, di Konrad Wolf e Wolfgang Kohlhaase.




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