venerdì 2 ottobre 2015 - Giovanni Graziano Manca

Cinema d’altri tempi: La strada (1954) di Federico Fellini

La strada è un film del 1954, il quinto di Federico Fellini. Vicenda quasi favolistica tanto semplicemente articolata quanto profonda sul piano dei contenuti e per la molteplicità di riflessioni che può suscitare nello spettatore, il lungometraggio mette in scena le vicende dei due girovaghi Gelsomina (Giulietta Masina) e Zampanò (Anthony Quinn).

Gelsomina è una ragazza ingenua che per necessità è disposta anche a seguire nei suoi continui spostamenti di piazza in piazza un personaggio come Zampanò, artista di strada e bisbetico energumeno ubriacone che la sfrutta e la maltratta.

Durante il loro girovagare i due incontrano un equilibrista (il matto, impersonato dall’attore americano Richard Baseheart) che si scontra più volte con il prepotente Zampanò. Quest’ultimo, durante un litigio, lo percuote duramente fino a causarne involontariamente la morte. Successivamente Gelsomina, che all’equilibrista era legata da sincera amicizia, inizia ad accusare malesseri di natura psicologica. Si lamenta spesso con Zampanò accusandolo di essere un malvagio e di non volerle bene. Per questo tenta più volte ma senza successo di sfuggirgli. Nel finale dell’opera Zampanò abbandona al suo destino Gelsomina ormai diventata per lui uno scomodo fardello ma quando anni dopo viene a sapere della morte della ragazza, avvenuta in solitudine e nell’indigenza più nera, non riesce ad allontanare da se stesso il terribile rimorso per averla lasciata sola. Il lungometraggio, premiato a Venezia con il Leone d’argento, presenta tutti i caratteri tipici del cinema del primo Fellini che proprio in quegli anni inizia a riscuotere i primi grandi riconoscimenti internazionali: un uso misurato del comico, del grottesco e del paradossale, elementi ai quali sono sapientemente contrapposte le amare, patetiche vicende dei personaggi e soprattutto lo straziante epilogo dell’opera.

Questi contrasti narrativi, che stridono da un lato riuscendo per altro verso a sorprendere, vengono adottati spesso dal Fellini giovane cineasta (si pensi a Lo sceicco bianco oppure a Il bidone, film del 1955 di poco successivo a La strada: in entrambi i films, a fronte del dipanarsi di una narrazione piena di trovate talvolta esilaranti, conclusioni patetiche o tragiche).

La strada, sceneggiato dallo stesso Fellini in compagnia di Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano, rievoca almeno in parte la lezione neorealista dei vari Rossellini, De Sica e Visconti: è evidente l’intento felliniano di descrivere un’umanità che deve ancora fare i conti con i problemi di un Paese che, cessato da non molto il conflitto bellico, deve essere ancora ricostruito; un Paese, lo si può ben notare in molte delle scene del film, che è stato girato in buona parte nelle campagne del viterbese, ancora retto da una economia di tipo rurale dove per molti continua a rimanere difficile sbarcare il lunario. Tuttavia, allo stesso tempo, La strada si discosta dalla poetica neorealista.

Ciò avviene specialmente laddove il regista mette in scena vicende esemplari di protagonisti marcatamente fantastici e non reali.

Notevolissimo appare l’approfondimento del profilo psicologico di ciascuno dei personaggi attorno ai quali ruota l’intera struttura narrativa del film: Gelsomina è una ragazza timida, insicura, che non cessa mai di cercare una sia pur minima coesistenza affettiva e solidale con il brutale e prevaricatore Zampanò. A questi si contrappone, agli occhi di Gelsomina, il personaggio dell’equilibrista (il matto), figura positiva che incarna la comprensione e la saggezza di chi conosce le cose che veramente contano nella vita e in quanto tale affidabile, sensibile e autenticamente umana.

Nell’analizzare i caratteri dell’attività artistica felliniana all’interno di una più generale trattazione della generazione dei registi italiani attivi negli anni Cinquanta, a proposito del film di cui si parla in questo articolo Gian Piero Brunetta ha osservato che In questo film Fellini abdica in apparenza all’autobiografia e dà vita a figure provenienti da livelli più profondi della sua immaginazione. Cominciano a muoversi e a disporsi nello spazio, a partire da Gelsomina e Zampanò, esseri che paiono il frutto di un lavoro di scavo dentro l’inconscio piuttosto che di uno sguardo aperto al reale. Inoltre il regista assume il punto di vista della sua protagonista, moltiplicando gli effetti della sua visione del mondo. Gelsomina vede il mondo nella forma di spettacolo magico, misterioso e affascinante: in maniera del tutto naturale ai suoi occhi lo spettacolo del mondo si confonde col mondo dello spettacolo.  [Gian Piero Brunetta, Vent’anni di Cinema italiano – Vol. 2 – Dal 1945 ai giorni nostri, Laterza, Roma Bari 2006] .

Tuttavia, lo stesso Fellini, nel chiarire che le ragioni per cui si fa un film sono oscure, inestricabili, confuse fornisce, a proposito dell’origine motivazionale che lo ha indotto a girare La strada, la seguente chiave di lettura: La strada è frutto di una visione introspettiva profonda che successivamente sfocia nei punti di riferimento narrativi che conosciamo: All’inizio della strada c’era solo un sentimento confuso del film, una nota sospesa che mi procurava soltanto un’indefinita malinconia, un senso di colpa diffuso come un’ombra; vago e struggente, fatto di ricordi e di presagi. Questo sentimento suggeriva con insistenza il viaggio di due creature che stanno insieme fatalmente, senza sapere perché. [Federico Fellini, Fare un film, Einaudi, Torino 2007].  

Una annotazione finale sulla straordinaria interpretazione del personaggio di Gelsomina da parte di Giulietta Masina. Quello rappresentato dalla Masina è un personaggio complesso che si posiziona a metà strada tra il clownesco e l’infantile, tra il pierrot dallo sguardo sempre triste e la ragazzina di strada. Giulietta, con l’ausilio delle proprie grandi qualità mimiche, riesce a esprimere sempre perfettamente tutti gli stati d’animo di questo piccolo essere tanto generoso quanto bisognoso di affetto e di attenzioni. E’ proprio il personaggio interpretato da Giulietta Masina, tra l’altro, che sta addirittura alla base delle motivazioni che hanno indotto Fellini a realizzare il film. Racconta infatti il regista riminese: ‘Credo che il film l’ho fatto perché mi sono innamorato di quella bambina–vecchina un po’ matta e un po’ santa, di quell’arruffato, buffo, sgraziato e tenerissimo clown che ho chiamato Gelsomina e che ancora oggi riesce a farmi ingobbire di malinconia quando sento il motivo della sua tromba.’ [Federino Fellini, Fare un film, Einaudi, Torino 2007].  

 

 




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