lunedì 14 settembre 2015 - Giovanni Graziano Manca

Cinema d’altri tempi: Cadaveri eccellenti, di Francesco Rosi

Nell’ambito della storia della cinematografia italiana Francesco Rosi occupa in assoluto uno dei posti di primissimo piano. La circostanza si verifica perché Rosi, che è nato a Napoli nel 1922 ed è morto a Roma all’inizio di quest’anno, oltre a essere stato l’autore di una ventina di lungometraggi molto apprezzati per il loro elevato livello artistico e di impegno civile, si è sempre dimostrato intellettuale coerente e straordinariamente coraggioso, avuto riguardo alle tematiche politico-sociali particolarmente scomode dei suoi film.

Uno dei più grandi del cinema di tutti i tempi, l’italo-americano Martin Scorsese, ha sostenuto: ‘Per me Francesco Rosi è uno dei grandi maestri del cinema contemporaneo. È riuscito a delineare un’intera cultura con grande sensibilità artistica, coniugata al suo occhio vigile di etnografo. I suoi film non sono né melodrammi, né thriller, fanno parte di un genere a sé, basato sulle realtà politiche. Sono film di un realismo illuminato: prima di tutto ti coinvolgono e poi esigono l’obiettività. Rosi ha spesso il rigore di Dreyer o di Bresson. Il suo cinema è gremito di momenti memorabili’ .

Rosi dà inizio alla sua fortunata carriera di cineasta al principio degli anni Cinquanta ma il suo primo vero capolavoro lo firma nel 1962. Salvatore Giuliano viene da molti considerato come una delle ultime propaggini del cinema neorealistico, genere di cui in effetti mantiene alcune delle connotazioni essenziali. In realtà il lungometraggio inaugura quel filone cinematografico originale di cui Rosi è iniziatore ed esponente più significativo, quello del film-inchiesta. Di fatto, poi, Francesco Rosi nel corso della sua lunga e fortunata carriera artistica gira molti altri grandi capolavori ascrivibili a quest’ultimo genere narrativo, uno su tutti Le mani sulla città, del 1963. ‘Volevo costruire un film su un tema ben preciso, ha detto Rosi del film: ‘i compromessi del potere economico e politico in una città che cambia fisicamente. Un tale cambiamento fisico corrisponde al mutamento umano. Nella speculazione edilizia non sono negativi unicamente la distruzione di una città e l’aspetto caotico che ne deriva, ma anche la distruzione di una cultura a vantaggio di un’altra ove l’uomo non ha più posto. Si cambia l’uomo, sì’. Risaltano, in queste poche parole, gli obiettivi di fondo del cinema rosiano, sempre orientati alla salvaguardia degli elementi indispensabili affinchè l’uomo viva la propria vita in modo dignitoso.

I film del regista partenopeo si caratterizzano per essere tanto crudi e inquietanti per soggetto, svolgimento scenografico e avvenimenti che vi si denunciano quanto purtroppo, sotto quest’ultimo profilo, realistici o perlomeno assai verosimili. Cadaveri eccellenti certamente è, sotto questo aspetto, uno dei film più riusciti del cineasta napoletano. Il film, la cui uscita nei cinema risale ai primi mesi del 1976 è tratto dal romanzo di Leonardo Sciascia Il contesto, del 1971. Non furono poche le difficoltà che Rosi dovette affrontare per la trasposizione cinematografica del lavoro dello scrittore siciliano. A proposito del suo libro lo stesso Sciascia disse che ‘Ho cominciato a scriverlo per divertimento e l'ho finito che non mi divertivo più’. Non c’è da stupirsene: Il contesto denuncia in modo molto articolato la contrapposizione tra poteri dello Stato da un lato e la inquietante ‘connivenza’ tra gli stessi dall’altro, la potestà della criminalità mafiosa, gli scontri feroci tra fazioni politiche e la contestazione giovanile, la reale mancanza di coraggio dell’allora maggiore partito di opposizione; proprio con riferimento all’asserita mancanza di coraggio del PCI furiose polemiche vennero innescate dall’ultima battuta del film pronunciata da Florestano Vancini nei panni di un dirigente del partito: la verità non è sempre rivoluzionaria’. Tuttavia l’operazione di adattamento cinematografico riuscì perfettamente, dato che anche a rivederlo oggi il film rivela di essere specchio piuttosto fedele di quei primi anni Settanta così tormentati dai conflitti tra forze ‘occulte’ e da quella strategia della tensione che qualche tempo dopo si sarebbe sanguinosamente sviluppata in tutta la sua drammaticità. E’ appena il caso di far notare, poi, che nel corso degli anni fino a oggi libro e film mostreranno di volta in volta a sufficienza di essere stati tristemente profetici. Impossibile parlare di quest’opera senza fare riferimento all’eccezionale cast impegnato nell’allestimento del film. Premettendo che lo stesso Rosi, Lino Jannuzzi e Tonino Guerra si occuparono della sceneggiatura, che Piero Piccioni scrisse le musiche della colonna sonora, che a Pasqualino De Santis (uno dei più valenti direttori della fotografia che la storia del nostro cinema ricordi) e a Ruggero Mastroianni (fratello di Marcello) furono rispettivamente affidati la fotografia e il montaggio del film, va posto in rilievo che alle riprese parteciparono attori di primo piano come Lino Ventura, il bunueliano Fernando Rey, Alain Cuny (in seguito con Rosi anche in Cristo si è fermato a Eboli), Paolo Bonacelli, Tino Carraro, Renato Salvatori e, nella parte del dirigente politico il già citato cineasta Florestano Vancini (regista del film Il delitto Matteotti). Narrazione e ambientazioni riguardano un contesto geografico che non risulta specificatamente individuato, ma certo non è difficile intuire che gli avvenimenti descritti si svolgono tra la Sicilia e Roma. Sotto il profilo tecnico si può dire che il film, da alcuni assai riduttivamente considerato di genere giallo-poliziesco, adotta alcune interessanti soluzioni che tendono a raggiungere, anche attraverso l’utilizzo del bianco e nero e del seppiato, il risultato di un realismo scenografico di tipo documentaristico e, al fine di mettere in rilievo l’impotenza dei personaggi di fronte agli eventi e ai poteri che sono oggetto del film, alcune inquadrature che rimandano all’estetica dell’espressionismo tedesco.

 




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