martedì 27 settembre 2016 - Marina Serafini

C’è da fare

Lunedì lunedì ahi.

Martedì non filai.

Mercoledì persi la rocca.

Giovedì la ritrovai.

Venerdì mi lavai la testa.

Sabato andai al mercato

la Domenica non lavorai perché era festa.

 

Questa vecchia filastrocca è esemplificativa di come il classico perdigiorno conduce la propria settimana. Si comincia di lunedì, con molta calma... D'altronde è solo lunedì... Poi toccherebbe iniziare a lavorare, ma ancora per un giorno si prende tempo: bisogna pur carburare, no??

 Poi capita qualcosa, un problemino, come potrebbe esserlo non avere a disposizione tutto ciò che serve per fare il proprio... Quindi, ancora niente.

Ci vuole il tempo necessario per riorganizzarsi, almeno un giorno, tra trippole e trappole, e siccome intanto si avvicina il fine settimana... E' necessario iniziare a curare il proprio aspetto al fine di rendersi presentabili. Tocca poi dedicare spazio e tempo alla vita pubblica... Ed, infine, al riposo settimanale.

Vita da pigri e da inconcludenti. Azioni finalizzate a non fare, che si autoleggittimano nella propria inconsistenza.

Di persone così se ne incontrano facilmente, basta osservare ed ascoltare la profusione di parole emesse a mò di giustificazione - solitamente non richiesta - per le suddette non-azioni.

E la non-fatica prodotta da queste non-azioni ricade su chi ascolta sotto forma di rabbia, di sarcasmo o, nel caso si trattasse di persone frequentemente intercettate, di faticosissima sopportazione.

Solitamente le persone inattive sono annoiate e noiose, non hanno di che impegnarsi, né di che ragionare, quindi non fanno altro che lamentarsi, oltre a ripetersi, ripetersi allo sfinimento (di chi ascolta, prevalentemente).

Si perché, in fondo, chi non utilizza il tempo si trova a doverlo riempire, proprio perché altrimenti non saprebbe che farne. E così comincia il disco. 

Quella che ho qui indicato come non-azione, cioè quel fare privo di sostanza e di obiettivi, è l'equivalente dell'azione fatta a vuoto. 

Il leggendario Sisifo saliva su per un monte portando con sé un grosso masso, e quando raggiungeva faticosamente la sommità, ecco che il masso cadeva giù, così che lui doveva nuovamente portarlo in cima. In un infinito e terribile circuito di inutilità, e di energie sprecate. 

Si dice che Sisifo fosse stato in vita un personaggio assai sagace, e che attraverso mille astuzie avesse talmente infastidito gli dei - aveva sempre la meglio anche su di loro - che, infine, Zeus lo punì col suddetto contrappasso. Tanta intelligenza destinata ad essere sprecata per l'eternità. 

E questo è ciò che spesso capita ad alcuni di noi: buttiamo via le nostre risorse reiterando azioni inutili, e insistiamo, insistiamo, per un tempo che sembra non possa interrompersi mai. 

Ne segue una certa insoddisfazione, che presto diviene frustrazione, fino ad assumere i toni accesi della rabbia. 

Ma noi continuiamo, senza nemmeno avvedercene, a caricarci quel faticoso masso per portarlo in alto, e poi a buttarlo giù. E intanto che soffriamo, tra gemiti e imprecazioni, stiamo già di nuovo scendendo la china per andarlo a riprendere...

Lunedì, lunedì ahi....

Espressioni riportate anche dalle canzoni più popolari, che ribadiscono quanto sia comunemente detestato il lunedì, al pari di quegli occhi gonfi di sonno e delle espressioni aggravate di chi mi capita spesso di incontrare al lavoro nel primo giorno della settimana. 

Di martedì il ritornello cambia solo nella forma, per riproporre l'identico concetto: quello per cui "è solo martedì e già si avverte tutto questo peso!".

Di mercoledì prende inizio il conto alla rovescia: le persone si consolano a vicenda nei corridoi ricordandosi le une con le altre che, fortunatamente, mancano solo due giorni al sabato - sospirato giorno di riposo.

 E infatti, nel penultimo giorno, il ritmo rallenta ovunque, fino a ridursi ai minimi termini nella giornata di venerdì. A quel punto il pensiero è già assorbito dal fine settimana. 

La domenica non lavorai perché era festa.

C'è un'altra forma di Ignavia, o di spreco, se vogliamo. Quella che può capitare a chi si sforza lungo tutto l'arco della settimana, di produrre qualcosa di utile, di fare qualcosa che possa aver significato per molti, oltre che per sé stessi.

...Tanto impegno e sacrificio e poi accade qualcosa, un vizio, sempre la stessa sciocca operazione, fatta di certo in buona fede, che però finisce col vanificare tutto quanto, riportando il Titano alla detestabile e compassionevole situazione di Sisifo.

E allora vai, di nuovo in cammino verso quel burrone, a spingere e spostare il gravoso masso.

Cos'è accaduto?

La routine, l'abitudine, scaricare il serbatoio del prezioso carburante, faticosamente e degnamente guadagnato, in cose da poco conto, inutili e quindi dannose.

Buttare via la propria primogenitura per il famoso quanto misero piatto di lenticchie.

È il fine settimana, ho lavorato tanto, ho avuto i miei successi, e anziché godermi il meritato riposo e l'ancora più meritato festeggiamento vado a trovare i parenti, che sennò ci restano male. Si offendono.

 Vorrei starmene tranquillo per conto mio, ma gli amici poi mi criticano, accusandomi di essere asociale, e quindi esco.

C'è la partita, e anche se oggi ho bisogno di riposo, mi tocca andare a vederla a casa dell'amico o dell'amica, che magari ha preparato il pranzo apposta e, se non vado, finisce che si risente... E poi, magari, ci sono i suoceri, e un fine settimana si e uno no mi tocca andare, sennò poi chi li sente...

Cose così, insomma. Azioni neutre di per sè, ma che, osservate in relazione alla situazione, posson andare contro i miei effettivi interessi, o contro le mie imminenti necessità. 

E allora consumo più energia di quanto normalmente ne servirebbe, e finisce che vado in debito. Meglio restare a credito, no?

Nel gergo di alcune scuole di psicologia questa modalità di comportamento è definita come "ciclo 8", ad indicare che ci si dà tanto da fare per tutta la settimana per poi cadere proprio nel giorno di riposo. 

Giorno in cui, anziché raccogliere i frutti del proprio operato, li si butta via scioccamente, obbligando se stessi a ricominciare tutto da capo.

Altri definiscono la suddetta modalità in maniera più formale, indicandola come "riattivazione delle resistenze". Ciò che in ambito informatico e' descritto come "loop".
A me viene in mente la tragicomica novella dei carcerati in fuga i quali, scavalcato il novantanovesimo cancello che li separa dalla libertà, si fermano davanti all'ultimo e tornano indietro, perché si sentono stanchi.

Un vero peccato, no?
Quindi: non fare, fare cose inutili, fare cose utili e buttare via tutto per motivi non funzionali.

Lasciarsi dondolare nell'aria, poggiati sul sedile di un'altalena. Una spinta e poi avanti e indietro, ipnoticamente avanti e indietro... E cigola quella catena...
Così accade che mi trovo davanti una persona che conosco, una delle tante. Si presenta bene, lavora seriamente, rimane fino a tardi in ufficio, adempie ai suoi doveri di figlia nel fine settimana, fa sport e si lascia coinvolgere da qualche gossip. È intelligente e si dà da fare. Vorrebbe fare tante cose ma non le fa perché è sempre troppo stanca, e non le rimane mai il tempo...
Fa tanti sogni, ma non li ricorda mai: preferisce lasciarli nel cassetto.

Io le parlo e mi risponde un circuito operativo, razionale, corretto... Tutto giusto, tutto a posto. Eppure qualcosa non va: si tratta della persona. Io non la trovo.




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