sabato 10 settembre 2016 - Marina Serafini

Burkini e Svelamento | L’esempio di Nawal El Saadawi

Sul web, di questi tempi, circolano numerosi articoli e commenti sulla questione dell'abbigliamento delle donne islamiche. La polemica innescata dai provvedimenti adottati e poi ritrattati da alcuni comuni francesi nei confronti del burkini ha rimbalzato sui giornali on-line e sui blog di molti autori.

 
Ci sono stati scambi e riflessioni, citazioni e provocazioni... Il pensiero ha volteggiato su temi svariati: dai tormentoni che sono occasioni di riflessione, alla mancanza di rispetto nei confronti del genere femminile proprio delle religioni monoteistiche - ad eccezione, certo, del culto pastafariano, della cui goliardica esistenza sono così giunta a conoscenza - alla violenza legittimata da autorità indiscutibili (religiose o meno) propria di certe comunità giustificate, a loro volta, dal buonismo di un certo relativismo culturale, in linea con una diffusa e controversa interpretazione dell'idea di integrazione e inclusione delle culture.
 
Dai pettegolezzi alla valutazione dei costumi, insomma, fino a delicate riflessioni di tipo teologico e politico.
 
Tra le citazioni e i riferimenti ho incontrato il nome di Nawal El Saadawi, il nome di una donna di origine islamica, in Italia per lo più purtroppo sconosciuta, ma oggetto di studio in molti corsi di stimate università, e spesso ospite di simposi internazionali.
 
Nata in Egitto negli anni Trenta, questa donna ha affrontato con fierezza il suo tempo e la società nella quale è cresciuta, criticando la cultura di un paese represso e repressivo, interferendo con le linee politiche operando dall'interno, scuotendo la coscienza e modificando il modo di vivere certe abitudini comportamentali. 
È stata una delle poche donne nate e cresciute in un villaggio povero ad aver potuto frequentare l'università nell'Egitto degli anni 50 - lo racconta lei stessa - ad essere divenuta medico, e ad aver reso operativo un programma di medicina sociale, ossia di informazione preventiva di tipo sanitario basata sul presupposto di una visione olistica del'esistenza dell'uomo. Come la cultura non è mai separata dalla politica - in quanto al modificarsi dell'una intervengono inevitabili cambiamenti anche nell'altra - così non può esserlo il corpo dal modo di vivere e di pensare: lo stato di salute del corpo rivela la condizione globale dell'uomo. Condizione che i farmaci non sono in grado di sanare.
 
Nonostante il carcere, l'isolamento, il controllo, la censura, le minacce e l'imposizione a rinunciare addirittura alla propria nazionalità, Nawal ha continuato ad illustrare alla gente le reali motivazioni delle rituali menomazioni genitali cui vengono sottoposte le donne (ma anche gli uomini, seppure in altro modo, in altre religioni), oltre alle terribili conseguenze fisiche e psicologiche che da esse derivano. Un attento studio dei testi sacri le ha permesso di testimoniare su come un programma politico violento e oscurantista si sia imposto usando la mancanza di istruzione e la strumentazione dell'autorità del divino, a cui attribuire insegnamenti e precetti. Ha fatto comprendere con l'esempio personale che il velo imposto alle donne nella sua cultura di origine è un velo imposto alla mente, mantenuto e promulgato con la violenza, dalla ignoranza e dalla paura.
 
Il supporto di autorità politiche internazionali nel corso dei vari processi cui è stata sottoposta, le ha permesso di poter scoprire, con non poco stupore, di esser considerata un'esempio importante in America, in Norvegia, in Gran Bretagna e in altri paesi occidentali nei quali i suoi stessi libri erano e sono tuttora oggetto di studio in aule universitarie. La prima femminista islamica, che si è esposta per gridare al suo popolo e al mondo intero che i più grandi nemici dell'umanità sono l'ignoranza e la paura. Entrambe limitano l'azione e la sperimentazione, uccidendo la creatività e impedendo la sana dissidenza. Così l'autorità, la moralità e la paura rendono l'umano dipendente da una salvezza esterna, ricevibile e desiderabile, snaturandone la necessaria evoluzione esistenziale. 
E le religioni, in questo telaio, fanno da protagoniste: strumento perfetto per una strumentalizzazione politica. Nulla salus extra ecclesiam, insomma, qualunque forma, colore o lingua assuma quel vessillo. 

 




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