mercoledì 11 gennaio 2017 - Giovanni Greto

Breve cronaca della quarta edizione (2016) del Musicafoscari/San Servolo Jazz Fest

Forse gli organizzatori si aspettavano un afflusso maggiore di pubblico nelle cinque giornate del Festival Jazz, ideato da Daniele Goldoni, docente di estetica all’università Ca’Foscari di Venezia, nonché trombettista attento a catturare e possibilmente creare qualche cosa di musicalmente nuovo. C’è stato comunque un concerto all’insegna del tutto esaurito, commenti sostanzialmente positivi, per cui non val la pena di abbattersi.

L’inaugurazione ha avuto luogo all’interno di “Ca’Foscari Zattere”(CFZ), luogo di studio – è una confortevole, frequentata biblioteca non solo studentesca – e di eventi culturali – musica, arte, teatro, cinema – che sempre più sta cercando di coinvolgere l’intera città.

Ha iniziato l’ensemble Elettrofoscari, proponendo quattro brani originali, composti ciascuno da un diverso musicista del quintetto : “Maler”, un ritmato Jazz-Rock del batterista Raul Catalano; “Orbite” dell’altosassofonista Nicola Fazzini, il quale già da tre anni sta collaborando alla manifestazione; “Minima”, di Daniele Goldoni; “Hillary Step”, del pianista Alberto Bettin. Completava l’organico Massimiliano Cappello, apprezzato chitarrista nella passata edizione, questa volta alle prese col basso elettrico.

A seguire una novità, l’ “Unive Ensemble”, diretto da Fazzini, partecipe anche come musicista, frutto di due anni di lavoro tra gli studenti. Fazzini ha puntato sull’improvvisazione e sugli “head arrangements”(arrangiamenti creati estemporaneamente e imparati inizialmente senza partitura), in modo da stimolare una creatività globale. L’organico, numeroso – fiati, archi, due voci femminili e la sezione ritmica – ha bene impressionato il pubblico accorso, eseguendo due composizioni originali , “5-7-7-5” e “Primo incontro” e il bel tema di Lennie Tristano, “Turkish mambo”, assai amato e molto spesso eseguito dal pianista Franco D’Andrea.

Dopo una breve pausa per motivi tecnici, è toccato alla Big Band Unipd, concludere un festoso pomeriggio. Formatasi nel gennaio di quattro anni fa, è diretta dal contrabbassista Alessandro Fedrigo, partner di Fazzini nel gruppo Hyper, è composta da studenti, attuali ed ex, e da personale tecnico-amministrativo dell’Ateneo Patavino. E’ una big band classica (4 trombe, 4 tromboni, 5 sassofoni e la sezione ritmica). Ha un suono corposo; ogni membro è molto attento a svolgere a puntino la propria parte; gli assolo dei fiati hanno evidenziato una generosa vitalità. Tre i brani in scaletta: “Caravan”, nell’arrangiamento originale dell’autore e inimitabile bandleader Duke Ellington; “Catalisi”, in 5/4, nato da un laboratorio di composizione collettivo; “Triatonic”, un ¾ del sassofonista vicentino Ettore Martin.

Al teatro Ca’Foscari di S.Marta, la sera seguente si è ascoltato il Jazz cameristico del gruppo “Fresh Frozen”, coguidato da Achille Succi, ai clarinetti e al sax alto e da Christopher Culpo al pianoforte. Alle spalle due CD registrati in trio, i due leader hanno pensato di aggiungere al trombone e all’impegnativo eufonio (Massimo Morganti), un violoncello (Salvatore Maiore). Undici composizioni (quattro di Succi, cinque di Culpo, più due improvvisazioni) hanno dato vita ad un set unico di circa ottanta minuti. Come ha spiegato Culpo, prima di eseguire il suo “Amplituhedrons”, l’ensemble tenta di mettere insieme la musica contrappuntistica con altri linguaggi, oltre a privilegiare l’improvvisazione estemporanea. I musicisti tecnicamente sono tutti molto bravi, ma il concerto non è riuscito ad entusiasmare. Simpatico, “Sbach”, di Succi, il penultimo brano eseguito. Si tratta del mascheramento di una partita per violino solo di J.S.Bach. All’auditorium dell’isola di S.Servolo, che fino a qualche anno fa ospitava una seguitissima rassegna Jazz, si è potuto scoprire un insolito duo strumentale – chitarra e batteria - assai affiatato, pronto ad ascoltarsi e a rincorrersi nelle lunghe e fresche improvvisazioni. Andrea Massaria, triestino, e il veterano drummer americano Bruce Ditmas, uno dei protagonisti dei concerti di “Un certo discorso” a Venezia e a Mestre nel 1980 (in quell’occasione suonò con Gil Evans), hanno proposto integralmente il loro recente lavoro, pubblicato dall’etichetta ‘nusica.org’, “The music of Carla Bley”, omaggio alla scrittura particolare della pianista e bandleader americana. Sei i brani ascoltati in circa settanta minuti, con improvvisazioni dilatate rispetto alle versioni in studio. Massaria utilizza una serie di supporti elettronici che conferiscono effetti svariati alla sua chitarra (sembra una tastiera in “And now the Queen”). Fa capolino un alone di mistero in “Olhos de gato”, sembra di udire il suono di un vento che soffia maestoso. Ottimo il drumming di Ditmas – alle spazzole, alle bacchette, ai mallets – che si inserisce tra le pause dei solo di Massaria, od introduce egli stesso il pezzo, come in “Batterie”, evidenziando sempre un perfetto senso poliritmico. Il pubblico, attento, percepisce la bravura degli artisti, ne apprezza gli arrangiamenti e tributa loro applausi affettuosi.  In un pomeriggio sabatino, il musicista e compositore tedesco Michael Riessler (1957) ha tenuto una stimolante conversazione dal titolo “la prima idea è quella buona, la seconda è troppo tardi”, su come si improvvisa, come si può inventare la musica senza leggere le note. Ha chiesto a Fazzini e a Goldoni di reagire ad una forma di base in quattro modi : con l’imitazione, l’opposizione, l’integrazione (sono d’accordo su quello che sto ascoltando, ma non dico esattamente la stessa cosa), l’indipendenza. Tra le numerose affermazioni piene di buon senso, Riessler ha raccomandato di “suonare solamente quando si ha davvero qualcosa da dire, quando esce fuori qualche cosa di imprevisto”, perché la sorpresa è importante. Ha esemplificato la sonorità “multifonix”, riuscendo ad emettere dei suoni dove si sentono almeno due note insieme. Verso le 11 e 30 di una fredda domenica mattina, nell’androne di Ca’Pesaro, sede di un’importante Galleria internazionale d’arte moderna, Riessler ha dato un sorprendente esempio di bravura tecnica in “Double Fond”, sessanta minuti esatti di assolo non stop al clarinetto basso, che improvvisa su una base preregistrata di un altro suo assolo non stop sempre allo stesso strumento. Tutto questo, esibendo una perfetta padronanza della tecnica di respirazione circolare, uno sforzo in apparenza titanico, che necessita di un allenamento quotidiano per riuscire a conservare l’aria nelle guance e respirare con il naso nel farla uscire. Musicalmente si ha la sensazione di un free organizzato, adatto meglio come musica di commento (ad un film, per esempio). E infatti nel suo curriculum, Riessler annovera composizioni per il teatro, la radio, il cinema. Un titolo per tutti: “Die andere Heimat” di Edgar Reitz, una pellicola presentata alla Biennale di Venezia del 2013.

Tutto esaurito, l’auditorium S.Margherita, alla fine del campo omonimo, un luogo tiratardi per gli studenti cafoscarini, ma non solo. Sul palco, il quartetto franco-giapponese “KAZE”, letteralmente “vento”, formato dalla coppia, anche nella vita quotidiana, Satoko Fujii al pianoforte/Natsuki Tamura alla tromba, - che da poco hanno abbandonato Berlino per ritornare a risiedere a Tokyo – e dai francesi di Lille Christian Prouvost alla tromba e Peter Orins alla batteria. Hanno dato vita ad un lungo set unico di 80 minuti, in cui hanno presentato tutti brani nuovi, ancora senza nome, ad eccezione del bis “Uminari”, che dà il titolo al loro terzo, ultimo per il momento, CD. Nella lingua giapponese, “Uminari” significa “un suono che viene dal mare”, che preannuncia una tempesta o uno tsunami. Il quartetto, apparentemente insolito, per la presenza di due trombettisti e l’assenza di un contrabbasso, ha invece una propria, ben definita espressività. Il concerto è iniziato con le trombe impegnate a mantenere una nota per lungo tempo, una sonorità appena sussurrata, creando un’atmosfera misteriosa. Subito spezzata dalla percussione del piano e da piccoli accenti del drum set, con Orins che utilizza bacchette sottili, accanto a quelle canoniche, o strumentini dal suono scintillante. Le trombe si esprimono con lo strumento libero o sordinato. C’è un bel rapporto, di rispetto e di stima tra i due musicisti, che anche quando suonano insieme creano sonorità diverse come se il loro strumento non appartenesse alla medesima famiglia. Ottima l’attenzione verso le dinamiche sonore. Si passa da momenti impetuosi a morbide delicatezze. Per la prima volta, io che l’ho vista spesso, ma non con KAZE, Fujii-san ha parlato a lungo, scherzando, divertita, per la gioia di suonare insieme tra i quattro, oltre a pubblicizzare le tee shirts e i CD, sia del quartetto, che dei francesi, che suonano insieme nel gruppo “Impressions”. “Avere dei buoni collaboratori significa molto per dei musicisti” aveva affermato tempo fa Fujii-san. “E’ come trovare i migliori amici nella vita”. Non sono mancati episodi burlesque, quando Tamura-san ha tirato fuori minuscoli animaletti-giocattolo, i partners in silenzio, sì che si sentivano solo i familiari suoni fanciulleschi. Bellissimo, inaspettato, un assolo di campanelli. Indiscutibile e piena di fantasia, la capacità improvvisativa di ciascuno, il respiro del vento, perfettamente riprodotto dalle trombe : ognuno è attento ad ascoltare gli altri, reagendo secondo il proprio gusto agli stimoli sonori o ad un impetuoso fraseggio.

Dopo generosi e convinti applausi finali, c’era chi si accingeva a salire le scale che immettono al palco, per scambiare un parere, soddisfare una curiosità, acquistare un CD, o semplicemente per parlare la lingua materna, come alcuni giovani giapponesi, temporaneamente a Venezia per motivi di studio.




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