mercoledì 30 settembre 2015 - Giovanni Graziano Manca

Bob Dylan: poesia e musica di uno dei grandi del nostro tempo (pt.2)

Il periodo successivo all’incidente vede l’uscita di dischi di grande interesse: robusti cambiamenti d’atmosfera si registrano rispetto ai dischi incisi da Dylan fino a quel momento. John Wesley Harding (1968) è il disco della redenzione: Dylan stacca l’elettricità e attenua l’aggressività dei suoi testi pur senza rinunciare del tutto ai contenuti di forte impatto politico e sociale ai quali il suo pubblico si era abituato. Se John Wesley Harding rappresenta una sorta di rinascenza cantata con toni sommessi, Nashville Skyline (1969) è il disco della serenità e della distensione in chiave puramente country music. I dieci brani del disco sono cantati e suonati a Nashville da e con specialisti del genere tra i quali Johnny Cash, cointerprete della dolcissima Girl from the north country. Nashville Skyline si presenta quindi come la facciata dylaniana ‘bucolica’ e della quiete;

Significativo, in proposito, appare il commento di Fernanda Pivano:

Le ricerche intimiste e parabucoliche della sua nuova maniera sono state giudicate da qualcuno soltanto un trucco per far quattrini, ma forse sono state anche una proposta – un consiglio – di rivolgere l’attenzione ai problemi ecologici, al dramma della distruzione del pianeta di cui gli eccidi politici e militari sono parte almeno altrettanto integrante che gli eccidi industriali e commerciali; e sicuramente hanno indicato che Dylan ha spostato la sua creatività (i critici la chiamano: ‘la sua innovazione’) dalla musica folk della denuncia urbana, da lui trasformata nella cosiddetta musica folk rock, all’antica country music, la musica di campagna, nella quale introdusse appunto una vena di denuncia ecologica, di protesta contro l’iquinamento, l’iperpopolazione, l’alienazione delle metropoli o anche soltanto delle grandi città .

La raccolta intitolata New Morning (1970), alle cui sedute di incisione collaborò l’ex beatle George Harrison, è un insieme di canzoni riflessive, quelle della raggiunta ‘saggezza’ del loro autore, della maggiore consapevolezza di sé e della propria arte. Sempre nel 1970 Dylan accetta il conferimento della laurea honoris causa in musica dalla prestigiosa Università di Princeton. Durante la cerimonia Dylan, accompagnato dalla moglie e dall’amico David Crosby, appare in forte imbarazzo e l’evento produce strascichi polemici di vario genere. Queste le motivazione del conferimento del titolo:

Uno dei musicisti popolari più creativi dell’ultimo decennio, ha fondato la sua tecnica sulle arti della gente comune nel nostro passato e ha derivato il suo appello alla solidarietà umana dall’esperienza dei meno fortunati. Paradossalmente, sebbene conosciuto da milioni di persone, egli rifugge la pubblicità e le organizzazioni, scegliendo la vita di famiglia e l’isolamento dal mondo. Pur avvicinandosi alla pericolosa età dei trent’anni, Dylan sa creare una musica che rimane l’autentica espressione della coscienza inquieta e turbata dell’America giovane.

Pat Garret & Billy The Kid (1973) (original soundtrack dell’omonimo film di Sam Peckinpah al quale Dylan partecipò anche come attore) è un disco totalmente acustico che contiene quasi esclusivamente pezzi strumentali vicini alla tradizione musicale messicana e qualche classica ballata come la celeberrima Knockin on heaven’s door. Una rinnovata collaborazione con The Band porta dritta dritta alle sedute di incisione di Planet waves (terminato nel 1973, uscito nel Gennaio del 1974) segnando anche il ritorno di Dylan al rock con il disco dal vivo Before the flood - Giugno 1974 - che contiene tiratissime versioni di Most likely you go on your way (and I’ll go mine) e Like a Rolling stone. Nel 1975 esce Blood on the tracks, uno tra i migliori dischi rock degli anni Settanta, sicuramente, tra quelli di Dylan, il più bello del decennio e certamente uno degli episodi più notevoli dell’intera sua discografia.

Il disco contiene autentici preziosi diademi come Idiot wind, You’re a big girl, now, Tangled up in blue. Il 1975 segna anche il ritorno dell’artista all’impegno civile diretto; registra infatti la canzone Hurricane, che uscirà come prima traccia del disco Desire, nel Gennaio 1976. La canzone racconta la storia di Rubin Carter, un pugile di colore che verrà ingiustamente accusato (fu scarcerato nel 1988) di aver compiuto un triplice omicidio in un locale del New Jersey. Di lì a pochi anni, dopo l’ottimo Street Legal (1978) che vede Dylan avvicinarsi agli stilemi della musica nera, inaspettata quanto, per così dire, ‘proficua’ anche sotto un profilo strettamente artistico arriva la svolta dovuta alla conversione di Bob alla religione cristiana; questo ennesimo cambiamento di direzione vale ad alienare al cantautore americano una moltitudine di seguaci facendogli allo stesso tempo guadagnare una nuova pletora di estimatori aderenti al cristianesimo.

La conversione religiosa di Dylan da luogo alla trilogia discografica Slow train coming (1979, prodotto da Jerry Wexler), Saved (1980) e Shot of love (1981); si tratta di ottimi dischi suonati da uno stuolo di musicisti di prim’ordine (tra i quali Mark Knopfler, Ronnie Wood, Tim Drummond), dove sono presenti le più svariate tendenze musicali che vanno dal rock al blues, dal soul al gospel alle onnipresenti classiche ballate i cui testi sono impregnati da un profondo sincero e accorato sentimento di fede di cui tutta la nuova poetica dylaniana è pervasa.

Negli ultimi due decenni la produzione musicale di Dylan si è quasi sempre attestata su livelli qualitativi più che buoni (basterebbe ascoltare, per averne contezza, Time out of mind, Love and theft, Modern Times e Toghether through life) e ciò si è verificato anche quando il cantante americano ha indossato le vesti di semplice interprete di composizioni tradizionali o comunque scritte da altri autori (nel disco del 1992 Good as I been to you, per esempio). Le sue canzoni non conoscono più, almeno su disco, le impennate emozionali e vocali cui egli ci aveva abituato un tempo. Le svolte esistenziali che avevano caratterizzato il personaggio Dylan negli anni Sessanta e Settanta che costituivano in parte significativa la ragione dell’enorme carisma da lui esercitato sulle folle appaiono lontane, oggi.

Anche la voce si è ulteriormente arrochita e fuoriesce da corde vocali profondamente incise dal tempo. Ci si era assuefatti e anche affezionati al Dylan umorale, ombroso e dalle mille sfaccettature umane prima ancora che artistiche. E’ proprio questo Dylan poliedrico quello che viene rappresentato nel 2007 dal buon lungometraggio del cineasta americano Todd Haynes, Io non sono qui, titolo originale I’m not there. Si tratta di un film che di volta in volta ci presenta un Dylan pre-incidente (Cate Blanchett), un Dylan in ritiro solitario nella sua casa di Woodstock (Richard Gere), e quello interpretato da Marcus Care, che mostra un Dylan giovanissimo folksinger con un’esistenza da hobo, che salta da un treno merci all’altro. Naturalmente non mancano, in questo film, il Dylan del periodo folk e contestatario e quello spirituale della fine degli anni Settanta (Christian Bale), il Dylan paranoico tenuto in ostaggio dal suo stesso mito (l’attore Heath Ledger) e infine quello di poeta maledetto e visionario insieme, di metà anni Sessanta, che sul grande schermo viene impersonato da Ben Wishaw.

Oggi si ha la l’impressione che il mito dylaniano si sia oscurato e che il suo personaggio non faccia più sensazione. Si verifica contemporaneamente che la sua attività artistica e le sue performances concertistiche si pongono su un livello assestato e costante in genere qualitativamente brillante mentre emerge anche dalla lettura di sue recenti interviste che l’uomo, pur continuando a manifestare il forte senso di tagliente ironia che gli è consueto, oltre ad apparire più ‘saggio’ e certamente meno polemico nei confronti dell’establishment, dedica oggi le proprie migliori risorse intellettuali quasi esclusivamente alla riflessione filosofica e intimistica e naturalmente alla musica. Sarà forse una delle conseguenze dei gravi problemi di salute avuti anni fa oppure il peso degli anni che inizia a farsi sentire, fatto sta che Bob sembra avere cominciato in modo serio a guardarsi indietro, a tracciare un bilancio della sua straordinaria carriera che dura ormai da oltre cinquanta anni.

L’uscita del libro autobiografico Chronicles e quella di No direction home, film diretto da Martin Scorsese, che insieme scolpiscono un ritratto se possibile definitivo di un’artista che si è ripreso se stesso per sempre, paiono segni lampanti del suo desiderio di trovare la giusta sintesi, l’ottimo equilibrio tra passato e presente. Ma la capacità di sorprendere i propri estimatori Bob Dylan continua a esercitarla. Per esempio pubblicando un suo Christmas album nel 2009 destinandone peraltro i proventi della vendita al finanziamento di iniziative benefiche attuate a favore di famiglie disagiate. La voce raschiante di Mr. Zimmermann, non sembri questa una affermazione superflua, mantiene tutto il suo fascino anche quando intona classici della tradizione natalizia come Adeste Fidelis e Here comes Santa Claus

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