venerdì 30 giugno 2017 - Phastidio

Banche venete: non c’è alternativa?

A polvere quasi posata, dopo il “salvataggio di sistema” del risparmio veneto, vi proponiamo una piccola rassegna stampa ragionata su reazioni e commenti da parte di quello stesso sistema che ha partorito la soluzione della liquidazione con aiuti di Stato, uscendo dalla cornice normativa della BRRD. 

Facendo attenzione a non leggere la vicenda col senno di poi, che di solito è l’attività in cui gli italiani tendono ad eccellere, dimostrandosi dei previsori del giorno dopo pressoché onniscienti.

La versione di Messina – Oggi Carlo Messina, ceo di Intesa Sanpaolodichiara a Francesco Manacorda su Repubblica che l’asta per la polpa delle venete in realtà c’è stata, e vi hanno partecipato anche banche estere (citate BNP Paribas e Credit Agricole), oltre a Intesa ed Unicredit. Ma la constatazione più interessante, quella che indica quale è stato il vero detonatore di questo intervento panicato, è questo:

 

«Visto che si fanno conti, anche fantasiosi, sui costi per lo Stato, se permette lo sollevo io. In questi ultimi mesi le due banche venete hanno avuto bisogno di interventi sostanziosi a sostegno della loro liquidità: si tratta di 10 miliardi di titoli emessi dalle banche, collocati presso investitori istituzionali e garantiti integralmente dallo Stato. Ecco, se oggi quelle banche fossero fallite i 10 miliardi di garanzie pubbliche sarebbero andati a coprire le perdite di chi aveva i titoli. E si sarebbe trattato di 10 miliardi di soldi pubblici in fumo. Un po’ più di quei 5 miliardi che lo Stato versa adesso, con un conto approssimativo»

Ottimo punto, forse dirimente. Sul quale servirà tornare, per rispondere ad una domanda molto semplice: lo stato italiano, con la linea di liquidità garantita a favore delle venete, ha tenuto artificialmente in vita due entità già morte, nel tentativo di resuscitarle con la nazionalizzazione chiamata ricapitalizzazione precauzionale? Se la risposta fosse affermativa, ci troveremmo di fronte ad un classico caso di accanimento terapeutico che accresce i costi per la collettività, perché ai sudditi bimbi non si può dire la verità, visto che c’è sempre tra i piedi una consultazione elettorale che deciderà il destino del Paese (questa è ironica, mi raccomando). A parte ciò, Messina appare molto convincente nelle linee strategiche di comunicazione. Gli azionisti di Intesa Sanpaolo sono fortunati ad avere un capo azienda così.

Marco Onado e la signora TINA – Sul Sole, l’economista Marco Onado giunge ad affermare che

«[…] in Italia non c’è una banca che possa farsi carico di un’altra in crisi, come nelle (poche) crisi degli anni Settanta e Ottanta o in quelle dei primi anni Novanta che hanno portato alla scomparsa dell’intero sistema bancario meridionale, a cominciare dal Banco di Napoli. In Spagna invece Santander ha rilevato l’intero Banco Popular (salvo le passività meno garantite che sono state azzerate) facendosi carico di tutta la parte a rischio, perché ritiene di poter fare un aumento di capitale di ben 7 miliardi. Secondo le stime degli analisti, farsi carico delle due banche venete avrebbe comportato un fabbisogno di almeno 5 miliardi, troppi dopo la capitalizzazione a tappe forzate compiuta dai nostri due maggiori istituti»

Di conseguenza,

«Dunque in Italia una soluzione interna (e apparentemente poco dolorosa) non era possibile»

Questa è la signora TINA (There Is No Alternative). Onado forse avrebbe dovuto riflettere che una ricapitalizzazione da 5 miliardi, per una banca che oggi ne vale 45, non sarebbe stata proibitiva. Ma prendiamo per buono che la signora TINA regni incontrastata e che non si dovesse in alcun caso arrivare al bail-in sino ai bond senior ed ai depositi oltre 100 mila euro, perché altrimenti sarebbero squillate le trombe del Giudizio Universale. Se questo è il presupposto, e lo eleviamo ad assioma controfattuale (“se toccano i senior moriremo tutti!”), allora le cose sono state gestite nell’unico modo possibile. Chi scrive ha qualche dubbio al riguardo, ma chi scrive è un quisque de populo, quindi passiamo oltre. Resta il punto centrale: abbiamo tenuto in vita artificialmente delle banche morte da tempo? E la vigilanza della Bce è stata raggirata dal governo italiano, fidandosi circa la vitalità delle due banche venete, oppure è stata connivente a mettere la polvere radioattiva sotto il tappeto?

Ma quanto sarebbe costata una liquidazione “vera”? – Qui le cifre ballano, e non poco. Nei giorni scorsi si è letto di 11 miliardi, poi qualcuno ha fatto girare un'”analisi” in cui si parlava di 80 miliardi, prontamente rimessa in circolo sui social da anonimi ed interessati account. Ieri pomeriggio abbiamo avuto la stima della Banca d’Italia, contenuta in un articolo del Corriere, e attribuibile al vice direttore generale Fabio Panetta, che parla di 8,6 miliardi. Ora, queste cifre sono relative al rimborso dei depositanti sino a 100 mila euro, quelli garantiti dal Fondo interbancario di tutela dei depositi. Quanto al resto della procedura, si sarebbe dovuto procedere al realizzo delle sofferenze ma soprattutto al richiamo dei fidi. Operazione molto delicata ma che, se gestita correttamente, avrebbe portato in modo non necessariamente traumatico alla sostituzione dei creditori, nel senso che altre banche avrebbero affidato i debitori meritevoli, magari con un piccolo aiuto di stato erga omnes sull’assorbimento di capitale. Il tutto decidendo di prendere la strada della liquidazione domestica, e non della risoluzione europea.

Sistemiche a ore alterne – Su lavoce.info, Silvia Merler segnala la contraddizione esistenziale di questa vicenda. La ricapitalizzazione precauzionale era richiesta dal governo italiano perché le banche erano considerate sistemiche, ma con la successiva richiesta di liquidazione secondo norme nazionali (poi modificate nel cuore della notte) la vigilanza della Bce ha certificato che l’aspetto sistemico non c’era. Ma ecco che, poche ore dopo, la Commissaria alla concorrenza Ue, Margrethe Vestager, autorizzava gli aiuti di stato a beneficio di Intesa sulla base dell’esigenza di evitare impatti di tipo sistemico. Non è fantastico, tutto ciò? Ma Silvia ricorda soprattutto il tema centrale di tutta questa vicenda:

«La vicenda conferma una tendenza nella gestione delle crisi bancarie italiane degli ultimi anni. Le autorità provano a rimandare le soluzioni e spesso lasciano che considerazioni politiche prevalgano sulle istanze economiche. L’abbiamo visto con il ritardo nella ricapitalizzazione di Mps, avvenuta solo dopo il referendum costituzionale, nella creazione di Atlante e nello sforzo impari di proteggere i possessori retail di obbligazioni subordinate, a cui semplicemente quei prodotti non avrebbero dovuto essere venduti. Oggi lo vediamo nei generosi aiuti per la liquidazione delle banche venete. Alcuni lo vedranno come un epilogo felice, altri per quello che è: una scelta politica. A Bruxelles, forse la vicenda dimostrerà finalmente che l’armonizzazione del diritto fallimentare in materia bancaria è un completamento indispensabile della Brrd. Finché non lo si farà, rimarrà aperta la porta all’uso del diritto nazionale per evitare la risoluzione delle banche»

Tutto cominciò con la furbata di vendere titoli inidonei a risparmiatori inesperti. Gli organi domestici di vigilanza si voltarono dall’altra parte. Poi giunse la BRRD come un fulmine dal cielo, dopo soli due anni di lavori preparatori europei (ironia, portali via), poi si cercò di proteggere i creditori subordinati, poi si giunse a tenere in vita banche morte, e si arrivò a questa liquidazione nazionale geneticamente modificata, gestita sempre dalla signora TINA.

In tutto questo tripudio di sbadataggini, menzione d’onore per il politico italiano che pare incamminato verso lo stesso esito delle due venete: è morto da tempo ma non se ne è ancora accorto. Al secolo, Matteo Renzi. Che oggi riesce a dire questo:

Sulle banche venete “la posizione del governo l’ha espressa molto chiaramente Gentiloni: una scelta legittima e doverosa. La penso come lui, è legittima e doverosa nella situazione in cui si era, spero che i nostri parlamentari europei siano in grado di fare una grande battaglia perché i criteri molto selettivi delle banche venete siano applicati agli istituti di altri Paesi del Nord come quelli tedeschi“. Lo dice il segretario del Pd Matteo Renzi durante la rassegna stampa del Nazareno #OreNove (Ansa, 27 giugno 2017)

Frase incomprensibile: forse Renzi esige e pretende che alla Germania sia concesso di salvare le proprie banche con soldi pubblici, d’ora in avanti? Ma fa perlomeno tenerezza, questa “inflessibilità” verso dissesti bancari altrui che semplicemente non esistono, anche se Renzi è da anni convinto del contrario. Cosa che lo porta a reiterare ossessivamente i suoi wishful thinking. E con quelli uscirà di scena, senza accorgersene. Per ora, le sue direttive strategiche ed i suoi granitici auspici (vedasi Monte Paschi) paiono aver contribuito all’incancrenimento delle situazioni di crisi. E qui la sfiga c’entra assai poco, temo.




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