sabato 13 agosto 2016 - Giovanni Greto

“BESTIAS”: animali ed uomini sotto il tendone di un circo singolare.

“Bestias”, in scena per tre serate consecutive negli spazi del Vega, il parco scientifico e tecnologico di Marghera, ha aperto con successo il festival internazionale del teatro della Biennale di Venezia. Si tratta di uno spettacolo di “Nouveau Cirque”, fenomeno espressivo affermatosi in Francia, in cui l’idea di circo tradizionale sembra cambiare direzione. Protagonista è la giovane compagnia franco-catalana “Baro d’Evel Cirk”, fondata nel 2000 da un collettivo di sei artisti e guidata dal 2004 dalla cantante e acrobata francese Camille Decourtye e dal clown, ma non solo, catalano Blai Mateu Trias. Ad interagire con otto bravissimi esseri umani ci sono due cavalli, tre pappagallini ed una gazza (o corvo). Ci si chiede: ma allora, è tutto come prima?. Ci sono gli acrobati, i giocolieri, gli animali, etc? Sì e no, perché gli artisti eseguono i propri numeri seguendo un esile filo narrativo, alla scoperta di ciò che si nasconde in ognuno. Gli animali non sono esotici (tigri, leoni, zebre, elefanti, tanto per intenderci), ma rappresentano la quotidianità. Certo, c’è stato un lavoro di addestramento con gli animali, ma soltanto per insegnare loro un ruolo, come farebbe un regista con qualsiasi attore.

Il pubblico prende posto sotto il tendone, dopo un lungo percorso tra veli bianchi, animati da disegni ed immagini ad opera dell’illustratore Bonnefrite. A questo punto, nel silenzio generale, si accede ad un mondo che può apparire irreale. Entra un cavallo, si ferma un bel po’ al limitare della pista, per nulla turbato dalla presenza del pubblico. Poi attraversa lo spazio circolare e se ne va dall’altra parte. Arrivato fuori scena inizierà a correre, e succederà spesso, senza farsi vedere dal pubblico, lungo lo stretto corridoio che circonda la platea, ritornando (forse?) alla sua vera natura.

E gli uomini che fanno? Parlano (poco), danzano, imbastiscono alcuni numeri tipici del circo, senza calcare la mano su quel virtuosismo, troppe volte fastidioso, che si avverte in un circo tradizionale. E poi sanno fare di tutto, suonano la chitarra elettrica, gli strumenti a fiato, mentre Camille canta, dotata di una voce raramente così affascinante perfino nelle vocalist più affermate. E poi, arrampicata sui piloni della struttura, dopo un tira e molla atto a creare la suspense e a far sorridere quando simula una paura che non esiste, si lancia con eleganza, per essere presa con tempismo da due colleghi che la sorreggono, incrociando le braccia, apparentemente in completa rilassatezza.

Durante gli ottanta minuti dello spettacolo, capita che gli uomini si tramutino in animali, indossando maschere da fenicotteri o covoni di paglia, grazie ai quali improvvisano una simpatica danza primordiale. Fa parte del cast anche una bambina. Ma non c’è traccia di costrizione. Sembra concentrata nel proprio ruolo di spettatrice dietro le quinte e di commentatrice di ciò che vede.

Gustoso il siparietto tra la gazza (ladra?), che ruba la matita al clown Blai Mateu, interrompendo un monologo/non-sense sul significato di “essere umano”. Ciò che emerge è una sensazione di genuinità, di amore per le cose semplici, per una vita non digitale, a contatto con la natura. Ognuno può aggiungere ciò che sente. Ed è questo il successo di un lavoro, che ha debuttato nel 2015 a Lione e che senza dubbio continuerà ad affascinare un pubblico di tutte le età e di culture diverse. Perché emoziona ed induce alla riflessione. E la riflessione, soprattutto su sé stessi, spesso può mutare in meglio la vita su questa terra.

                 




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