venerdì 25 novembre 2016 - Marina Serafini

Ascolto globale

Ho selezionato un numero telefonico, ho preso un appuntamento e mi sono poi recata all'indirizzo convenuto per farmi sistemare la capigliatura. Fin qui tutto nella norma: le presentazioni, tolgo la giacca, una breve attesa su un comodo sedile, e poi è arrivato il momento. 

Mi raggiunge un ragazzo, sottile come un fuscello, un pò curvo sul suo scheletro, lo stesso che avevo osservato, allegro, in giro per il negozio, ad elargire brevi consigli e pacche sulle spalle. Ha lo sguardo dolce e i modi gentili. 

Siedo e lui mi fa una domanda: "dimmi, perché sei qui?". Rispondo sorpresa che sono lì per tagliare i capelli, e quindi lui riformula: "ok, allora dimmi cosa ti ha spinto a venire qui, cosa non ti piace, cosa ti infastidisce di quello che vedi su di te, e cosa vorresti vedere. Io poi, attraverso le mie conoscenze tecniche, ti dirò cosa possiamo fare e come."

Questa situazione mi ha colpita per la sua serietà. Io lavoro in un contesto molto articolato, in continua interazione con uffici diversi, con i quali effettuo scambi costanti di richieste e risposte - in base alle esigenze e secondo le competenze.

Forse è proprio l'inganno della quotidianità, quello che ti spinge a presupporre le informazioni che non chiedi o che non dai: in effetti avviene spesso che più siamo in confidenza con i nostri interlocutori e meno ci ascoltiamo. 

In un certo senso, volenti o no, ci rispettiamo poco.

Bussa un estraneo alla tua porta: gli chiedi chi è, cosa vuole, e come pensa che tu possa essergli utile. Osservi un annuncio di lavoro, e ti confronti con le tue competenze per vedere se sono quelle necessarie. 

Ma quando subentrano la confidenza e l'abitudine, cala un certo velo di nebbia e, con esso cala anche l'attenzione necessaria. 

Leggevo da qualche parte che noi tutti siamo disposti più a parlare che ad ascoltare. Ci piace raccontare di noi, esporre il nostro pensiero e trovare nell'altro la conferma della nostra esistenza. Secondo un esperto di coaching aziendale, tale Robert James, il confronto interessa davvero a pochi, e questo perchè il dialogo, se ben strutturato, può rivelarsi uno strumento in grado di porre in discussione i nostri principi, e quindi di destabilizzare delle convinzioni. Ecco perchè, in sintesi, il mondo del marketing si è trasformato in un grande enorme orecchio in ascolto, intanto che innumerevoli stimoli, bene o male mimetizzati, punzecchiano le nostre reazioni. 

Il parrucchiere: una professione, la richiesta e l'offerta di un servizio. Rifletto: quante volte mi sono trovata in un'analoga situazione?

C'è stato un periodo, nel corso della mia formazione, in cui svolgevo uno stage presso una società di selezione e formazione del personale: mi occupavo dei colloqui per società committenti, valutando le caratteristiche dei candidati che intervistavo. Il modo in cui lavoravo piaceva, e così il capo decise di portarmi con sé, e di inserirmi in una fase più avanzata: l'analisi dei fabbisogni formativi.

Non dovevo più solo individuare certe caratteristiche, ma cogliere tra le presenti quelle più utili allo scopo. Si trattava di intervistare il committente per capire cosa proponeva alla sua clientela, cosa realmente riusciva a realizzare, e cosa facevano le sue risorse per raggiungere quell'obbiettivo. Questo lavoro costituiva le basi del lavoro suddetto di selezione. 

In sostanza, rispondevo all'estraneo che aveva bussato alla mia porta e gli chiedevo chi era, cosa voleva, e cosa si aspettava che potessi fare per lui.

La mia naturale curiosità è stata di grande aiuto: ho imparato a stare in platea ad osservare. Con le orecchie, con gli occhi e con il naso. Tutti i nostri sensi convergono nel confermare o disconfermare l'autenticità dell'informazione che ci è pervenuta verbalmente. 

Per dirla tutta, stavo formando già la mia persona in tal senso, attraverso gli studi che portavo avanti con ingordo interesse in ambito psicologico, e il duro lento percorso di consulenza personale... Motivo per cui questo stage fu una grande opportunità di apprendimento, e una fantastica esperienza lavorativa - sia pure non retribuita. Imparavo e facevo: a me stava bene così.

Molto spesso le persone si parlano addosso, una sull'altra anziché una con l'altra. Non ci si ascolta.

In un articolo precedente ho scritto del suono, della musica che può uscire da ogni vivente, e di come a volte basta poco per farlo uscire laddove non sembra proprio esserci nulla: come uno strumento musicale realizzato da un fusto secco di cactus (Il bastone dela pioggia)

Ma l'arguto commento di uno spietato lettore mi ha obbligato a guardare più in là.

Un oggetto ormai privo di vita, se sapientemente organizzato e manipolato può mutare il proprio silenzio in un suono: una voce che sa evocare esperienze vitali. Ma quel suono, quel richiamo... E' reale?

Ossia: il bastone della pioggia emette una sonorità acquacea perchè ha acqua dentro di se'? No: ci sono oggetti, cose che scorrono scontrandosi al suo interno.

Perché l'acqua scorra davvero tocca recarsi lungo un fiume, e questo è bene tenerlo a mente!

 La manipolazione delle informazioni e dei dati arriva a confondere i nostri sensi, coinvolgendoli, ammiccando e facendoseli amici, secondo una modalità furfante che ha tutto il sapore amaro del tradimento. Come l'amico che ti fa fare da prestanome nei suoi affari per poi lasciarti nei guai alla resa dei conti.

E quindi ci tocca tornare al vecchio Parmenide: ci siamo! E quindi dobbiamo riprendere il passo a partire proprio da noi, dell'interno di ciò che ci permette di esistere. 

Possiamo infrangere le insidiose illusioni solo ponendo attenzione a quanto ci accade, ascoltando: ossia prestando l'ascolto dovuto al modo in cui il nostro corpo reagisce all'informazione arrivata. 

Che sia una fitta alla schiena, come una coltellata inattesa; un torpore alle gambe come se non dovessi procedere oltre in quel luogo o in quel modo; un occhio che "balla", come fossi un cecchino che prende la mira; una spalla dolente perchè incapace di sopportare quel peso... Basta un odore che mi colpisce lo stomaco come si fosse trattato di una concreta aggressione... Basta una immagine, che sinteticamente mi espone la situazione che sto vivendo!

 

...Viviamo in un sogno, o è il sogno che sogna di noi? Chuang Tzu se lo chiedeva 2400 anni fa:

"questa notte ho sognato che ero una farfalla: ora io non so se ero allora un uomo che sognava d'essere farfalla, o se io sono ora una farfalla, che sogna di essere uomo".

La risposta dipende da quanto siamo disposti ad ascoltare...

 

 

 

 




Lasciare un commento