martedì 24 gennaio 2017 - Giovanni Greto

“Artico. Ultima frontiera”, un reportage in bianco e nero a Venezia

La Casa dei tre Oci, ormai sinonimo consolidato di fotografia per la città di Venezia, dedica il suo ultimo progetto artistico agli spazi immensamente candidi dell’oceano Artico. Paesaggi di rara bellezza, legati ad una fauna di orsi polari, renne, foche, trichechi, volpi, lepri, caribù, attirano chi si reca in visita di “Artico. Ultima frontiera”. Le 120 immagini di tre maestri dell’arte fotografica – Ragnar Axelsson (Kopavogur, Islanda, 1958); Paolo Solari Bozzi (Roma, 1957); Carsten Egevang (Taastrup, Danimarca, 1969) – rappresentano un’indagine approfondita, pur se attraverso angolazioni diverse, di un’ampia regione del pianeta che comprende la Groenlandia, la Siberia e l’Islanda e della vita delle popolazioni Inuit (“uomini”), un tempo conosciuti come “eschimesi”, un termine derivato dalla voce algonchina “wiyaskimwok”, “mangiatore di carne cruda”. Sono rimasti in 150 mila nel mondo, 55 mila in Groenlandia. Come scrive Paolo Solari Bozzi nel pannello che racconta la propria esperienza, al primo piano della Casa, purtroppo non vivono più sotto terra, come i loro nonni, negli igloo, scomparsi negli anni ’70. “Alcuni sostengono che stavano meglio di adesso, perché almeno erano al riparo dalle intemperie cui le casette di legno importate dai danesi non resistono quando il vento soffia a oltre 200 Km. all’ora; si nutrivano esclusivamente di cibi locali e i riti domestici erano codificati da secoli”.

Tutte le immagini sono estremamente importanti, perché estrapolano un problema che deve interessare l’intera umanità: l’inesorabile, veloce, surriscaldamento terrestre e il conseguente scioglimento dei ghiacci. E allora, prosegue nel suo commento analitico Solari Bozzi, “l’habitat della fauna artica si restringe anno dopo anno, il delicato ecosistema viene stravolto, il terreno di caccia dell’animale e dell’uomo diminuisce e da ultimo il cacciatore ha sempre meno prede di cui nutrirsi”. Solari Bozzi ha soggiornato sulla costa orientale della Groenlandia per due mesi tra febbraio e aprile del 2016. I suoi numerosi scatti, oltre che per la mostra, sono stati finalizzati alla pubblicazione di “Greenland Into White, un volume edito da Electa, uscito proprio il giorno dell’inaugurazione. La scelta del bianco e nero è dettata, spiega il fotografo, da due motivi di fondo : “perché la realtà è a colori, mentre il bianco e nero permette di far sognare; perché il colore, pur bello, distrae, mentre il bianco e nero lascia trasparire le emozioni delle persone”.

Il piano terra della Casa è riservato a Ragnar Axelsson, il quale da oltre trent’anni si dedica ad esplorare i luoghi più remoti dell’artico per documentare l’esistenza quotidiana delle popolazioni che vivono ai confini del mondo. Ma è interessante riportare l’episodio che ha cambiato la sua esistenza. “E’ successo a Thule, in Groenlandia, circa 25 anni fa. Mentre passavo davanti a una casetta, ho notato l’anziano proprietario che stava sulla porta e guardava il cielo, annusando l’aria. Per cinque mattine di seguito l’ho visto nello stesso posto, ad annusare l’aria e a fissare il ghiaccio del fiordo che si scioglieva. Non capivo quello che diceva, borbottava sempre le stesse parole. Così, una mattina, ho chiesto ad un amico di accompagnarmi e tradurmi i suoi pensieri. Quello che diceva era : “Non dovrebbe essere così, c’è qualcosa che non va. Il grande ghiaccio è malato”. Voleva dirmi che il ghiaccio non era mai stato in quelle condizioni e non doveva esserlo. Quelle parole forti pronunciate da un saggio anziano mi hanno commosso : quell’uomo era sempre stato parte della natura e adesso era preoccupato perché percepiva un cambiamento nell’aria. Questo episodio per me ha segnato un punto di svolta: per la prima volta mi sono reso conto che c’era qualcosa di sbagliato. L’Artico è in fase di rapida trasformazione, il ghiaccio marino si sta ritirando e l’estensione dei ghiacci è sempre più ridotta. Tra 200 anni saranno scomparsi del tutto dall’Islanda. Il Pianeta Terra, la nostra casa, si sta surriscaldando. Gli scienziati ci avvertono che, se non modificheremo in tempo le nostre abitudini di vita, saremo presto vicini al punto di non ritorno. Il ghiaccio marino e i ghiacciai dell’Artico sono il sistema di raffreddamento della Terra. La vita come la conosciamo oggi potrebbe subire un drastico cambiamento, scaricando sulle spalle dei nostri nipoti problemi che nessuno vorrebbe si trovassero ad affrontare”. 

 Le sue foto, a differenza di quelle degli altri due colleghi, spaziano dalla Siberia, all’Islanda, alla Groenlandia. Sembrano parlare meglio di un filmato. Un cane che urla, volti pensosi, facce corrucciate, la preoccupazione per i cambiamenti in atto, il freddo e la fatica di trasportare attraverso la neve quello di cui si abbisogna, nell’espressione stremata sul volto di un’anziana. 

Il secondo piano, il piano finale, ospita le foto di Carsten Egevang, fotografo biologo, il più celebre del terzetto, che ha vissuto dal 2002 al 2008 a Nuuk, la capitale della Groenlandia, un’isola ormai nel suo cuore, nella quale fa ritorno almeno tre volte all’anno. “Quando ho iniziato a fotografare la Groenlandia – si legge nel pannello esplicativo – la mia prima fonte di attrazione è stata la bellezza dei luoghi. Volevo fotografare i colori del paesaggio, gli iceberg, l’aurora boreale, la fauna artica. Se mi capitava di inquadrare un essere umano o un qualsiasi manufatto, ad esempio un’abitazione, scartavo la foto. Oggi il mio approccio è completamente diverso. La mia missione è documentare il modo in cui la popolazione fa ancora affidamento sulla natura. Mi sforzo di collocare esseri umani e animali in un contesto più ampio, cercando di rappresentarli come un elemento del paesaggio mozzafiato. Tento di catturare le interazioni tra uomini e animali che sono essenziali per la sopravvivenza umana da un punto di vista culturale, come anche della quotidianità domestica. Tutto questo non è realizzabile con una breve crociera, ma richiede soggiorni prolungati in cui seguire da vicino i cacciatori che si avventurano in cerca di cibo sulle slitte trainate dai cani, sui gatti delle nevi e sulle piccole barche. Per me non c’è mezzo migliore della fotografia in bianco e nero per comunicare tutto questo”.

Gli oggetti del progresso sono arrivati anche nelle regioni polari. I telefonini ce li hanno tutti e questo è utile per comunicare fra villaggi lontani. Ma i centri commerciali servono davvero? L’alcolismo dilaga, in persone non abituate a bere e che per costituzione difettano dell’enzima specifico all’elaborazione dell’alcool. Il tasso dei suicidi è in crescita (è fra i più alti del mondo), forse anche perché manca una vera identità in cui riconoscersi. Tutte le foto, per scelta di ogni artista, mantengono la loro originale dimensione estetica. Non volevano una mostra di denuncia, oppure mostrare situazioni delicate di degrado. Soltanto far riflettere che, se si va avanti così, come scrive Axelsson, tra 200 anni i ghiacciai saranno scomparsi del tutto. E allora l’umanità, nonostante una prevedibile, maggiore percentuale di progresso, sarà davvero felice di vivere?

Oltre alle immagini, tre documentari arricchiscono la narrazione delle regioni del Nord : “Sila and the Gatekeepers of the Arctic”, realizzato dalla regista e coreografa svizzara Corina Gamma; “Chasing Ice”, diretto dal giovane Film-maker americano Jeff Orlowski; “The Last Ice Hunters”, un documentario dei registi della Repubblica Ceca Jure Breceljnik & Rozie Bregar. Il 6 marzo è prevista una giornata di studi, organizzata in collaborazione con l’Università Ca’Foscari, sul tema dello scioglimento dei ghiacci e dell’artico. L’esposizione, che si concluderà con un’asta delle fotografie in mostra, è visitabile quotidianamente, escluso il martedì, dalle 10 alle 18.




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