giovedì 18 maggio 2017 - Oggiscienza

Animali: hanno una personalità? Q&A con Jennifer Verdolin

Studiare la personalità nelle altre specie è una sfida che riserva molte sorprese: può aiutare gli scienziati a proteggere quelle a rischio e a migliorare il benessere degli animali in cattività.

di Eleonora Degano

 

APPROFONDIMENTO – Per la nostra specie, la personalità è al centro delle attività di tutti i giorni. Ha un ruolo nella scelta degli amici, nelle preferenze per uno sport, nel farci amare un lavoro e odiare un altro. Ma se parliamo di animali, la questione si fa più complicata. Chi condivide la sua vita con uno di loro avrà le idee chiare: “il mio cane è un fifone”, “il mio gatto è fin troppo audace”, “il mio cavallo è curioso”. Ma è possibile documentarlo a livello scientifico? E soprattutto, di cosa parliamo quando parliamo di personalità in un’altra specie?

Nel 2013 l’esperta di comportamento animale Jennifer Verdolin ha condotto un vero e proprio test della personalità su 14 lemuri-topo nel Duke Lemur Center di Durham, negli Stati Uniti. Ha documentato come reagivano di fronte a oggetti che non avevano mai visto (un peluche, un contenitore per le uova, una scatola di fazzoletti…): i più audaci esploravano la novità mentre altri, timidi, se ne stavano in disparte, reazioni che corrispondevano al rapporto con gli umani. I più coraggiosi erano infatti anche quelli che reagivano meglio alla manipolazione dei ricercatori, mentre i lemuri timidi erano più schivi.

Cosa significava? Che la loro individualità si manifestava in diverse situazioni. Ed è qui che si può far entrare in gioco il concetto di personalità.

Ho fatto un’interessante chiacchierata con Verdolin, per capire a che punto siamo nel comprendere la personalità degli animali e come questa possa influenzare il loro comportamento. Nonché trovare uno spazio nella conservazione delle specie a rischio e nella gestione degli animali in cattività.

Prima di tutto, cosa intendiamo quando parliamo di personalità in un’altra specie?

In molti casi negli animali non-umani possiamo descrivere la personalità come faremmo per gli umani. Ci sono individui più coraggiosi, altri ottimisti o pessimisti, mentre alcuni sono timidi. Il modo in cui valutiamo o determiniamo la personalità negli altri animali si basa sul comportamento e sul modo in cui interagiscono tra loro.

Cosa la ha avvicinata allo studio della personalità animale? C’è stato un momento particolarmente affascinante mentre lavorava sul campo?

Le differenze nel comportamento tra vari individui della stessa specie mi hanno sempre affascinata, perciò possiamo dire che è stata una transizione naturale il passare dallo studio del comportamento di gruppo a quello individuale. Per vari anni ho studiato i cani della prateria e per distinguere i vari individui dovevo catturarli e marcare ciascuno di loro con una piccola quantità di colore, con un segno riconoscibile. Non ci è voluto molto perché mi accorgessi che alcuni animali erano relativamente facili da catturare, mentre con altri non ci riuscivo mai!

In ogni caso ce n’era uno speciale, che ho chiamato Antonio. Lo trovavo piuttosto bello… per essere un cane della prateria! Antonio era speciale perché sembrava non avere il minimo timore nei miei confronti. Non si è mai avvicinato spontaneamente, ma la mia postazione era vicina alla sua tana e lui usciva per andare a svolgere le sue attività, mangiare, riposare, giocare, il tutto a uno, due metri da me. Ogni volta che predisponevo le trappole, invariabilmente se ne tornava dentro prima ancora che io mi allontanassi. È stato questo a scatenare la mia curiosità e a dare il via alla ricerca seguente, sulla personalità dei lemuri-topo.

I benefici dei tratti della personalità sono chiari alla scienza o ci sono ancora misteri affascinanti al riguardo? Per esempio, uno studio appena uscito mostra che i pesci coraggiosi finiscono mangiati dai cormorani mentre quelli cauti no, il che può portare a chiedersi perché la selezione naturale avrebbe salvato un tratto che ti farà finire nel becco di un predatore!

È davvero un’ottima domanda e la risposta non è semplice come “coraggioso è meglio” o “coraggioso è peggio”. È… dipende. In alcune circostanze essere audaci paga. Per esempio, quando la competizione è intensa, come per la cinciallegra, un piccolo passeriforme, allora gli individui più coraggiosi hanno la meglio su quelli più timidi. Ma quando le condizioni mutano, come inevitabilmente accade, e il cibo o altre risorse sono più abbondanti, essere una cinciallegra aggressiva e audace non porta gli stessi vantaggi.

In altri casi gli studi hanno mostrato risultati diversi quando gli animali erano testati in cattività o in natura. Le trote sono un ottimo esempio. In laboratorio quelle più audaci avevano la meglio, guadagnavano maggior accesso al cibo e nella competizione superavano le controparti più timide. Ma nel loro habitat, in condizioni naturali, erano queste ultime a cavarsela meglio. Perché? Il modo in cui le trote si nutrono nel loro ambiente è diverso rispetto al laboratorio e stare ferme ad aspettare che sia il cibo ad arrivare fino a te fa risparmiare molta energia. La domanda ancora più interessante è se i tratti della personalità siano fissati. Se sei coraggioso, lo sei sempre? O puoi adattarti e cambiare la tua strategia quando cambiano l’ambiente o il contesto sociale in cui trovi?

Cosa sappiamo del ruolo dell’ereditarietà? Hai avuto occasione di osservare la progenie dei lemuri, per scoprire se erano coraggiosi o timidi come i genitori?

Sappiamo che la personalità, come qualsiasi altro tratto, ha una componente ereditaria. Questo è stato dimostrato nello scoiattolo rosso, negli spinarelli, nella cinciallegra e in molte altre specie. Al momento sto analizzando la personalità della progenie di alcuni degli animali che ho studiato in passato e sarà interessante vedere i risultati. In ogni caso, in queste situazioni è impossibile separare quanto è stato appreso dai genitori e quanto è frutto della genetica. Per esempio, sappiamo che nei ratti la paura viene trasmessa di generazione in generazione e che nei macachi reso basta che i piccoli vedano i genitori spaventarsi per qualcosa per esserne impauriti a loro volta. Questo significa che anche se un piccolo non riceve la particolare versione di un gene che influenzerebbe la sua personalità verso la timidezza, se nasce da una madre timida la personalità sarà plasmata dalle sue esperienze. Sarà una combinazione, e un’interazione, tra geni e ambiente.

Quali sono secondo te le difficoltà principali nello studiare la personalità degli animali?

Penso che una delle sfide più grandi sia pensare alle loro personalità come tratti complessi e malleabili, come facciamo per gli umani, e riuscire a dimostrarlo. Studiare la frequenza di un comportamento o di un altro non ci racconta tutta la storia. Possiamo confrontarlo con il modo in cui descriviamo la personalità di un amico, con le parole che usiamo, come “dimostriamo” che quell’amico ha quella certa caratteristica. E questo ci mostra che tra umani non pensiamo alla personalità come un unico tratto, per esempio “coraggioso”. Piuttosto ci sono vari aspetti che, sommati, descrivono le varie sfaccettature della personalità di qualcuno. Penso sia altrettanto vero per gli animali eppure è difficile dimostrarlo in modi concreti, misurabili, ripetibili e affidabili.

La personalità può essere uno strumento per la conservazione, per esempio per decidere quali individui sono i più adatti per essere re-introdotti in natura. Quali pensi siano i tratti “preferibili”? Un individuo coraggioso potrebbe correre più rischi ma avere maggior successo riproduttivo, mentre uno timido ne avrebbe di meno ma allo stesso tempo starebbe alla larga dai rischi, quindi dai predatori e magari anche dagli esseri umani.

Non c’è una risposta giusta. L’approccio è già stato usato piuttosto diffusamente nella reintroduzione delle volpi americane, con risultati diversi. I ricercatori hanno notato che quelle rilasciate in un’area sopravvivevano di più rispetto alle volpi liberate in un’altra area. Dopo alcune esplorazioni si è concluso che la mortalità era più elevata perché alcune volpi correvano più rischi e si spostavano in zone più prossime alla presenza umana. A quel punto, la domanda diventa “puoi risolvere il problema rilasciando solo animali timidi?”. In base a quello che dicevamo poco fa, io non la trovo una buona soluzione. In certe condizioni la selezione naturale favorirà gli animali più coraggiosi, in altre i più timidi. Evitando di rilasciare volpi audaci in quell’area potresti risolvere il problema, ma finiresti involontariamente per crearne degli altri. Per esempio, gli animali più coraggiosi potrebbero disperdersi di più e avere più probabilità di trovare un compagno, specialmente se la popolazione è di piccole dimensioni come accade per le specie minacciate.

In altri casi, audacia e vicinanza agli umani possono tornare utili. In Scandinavia, le femmine di orso bruno che portano i cuccioli vicino agli insediamenti umani lo fanno per proteggerli da altre minacce, principalmente i maschi adulti. Dunque si crea una situazione nella quale le madri più coraggiose stanno aumentando la sopravvivenza dei piccoli, spostandosi più vicine agli umani. In un qualche modo, sanno che il nemico del tuo nemico può essere tuo amico. Penso che l’ambito nel quale comprendere la personalità degli animali in cattività ha avuto l’impatto maggiore – e può continuare a farlo – sia quello degli zoo. Alcuni individui possono diventare molto stressati a causa della folla e alcuni zoo, grazie agli studi sulla personalità, sono in grado di decidere quali animali far uscire in base al numero di visitatori.

Se siete curiosi di approfondire il lavoro di ricerca di Jennifer Verdolin, qui trovate la nostra recensione dell’edizione italiana del suo libro Wild Connection, ovvero Affinità bestiali, Le relazioni umane spiegate attraverso il corteggiamento animale (Edizioni Il Punto d’Incontro). Il suo ultimo libro – Raised by animals – è appena uscito nelle librerie statunitensi.

@Eleonoraseeing




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