mercoledì 28 dicembre 2016 - Clash City Workers

Almaviva: No ai ricatti, i lavoratori riprendono la protesta

“Non si rischia nessun posto di lavoro!” “Dopo Maggio stiamo tranquilli, l'azienda si è impegnata” “Il sindacato non firmerà, anzi, non discuterà nemmeno su certi punti” “Dopo l'accordo di maggio arriveremo più forti e preparati alla scadenza di Novembre” “Il controllo individuale non c'entra niente con la vertenza” “Non accetteremo mai nessuna ipotesi di taglio dei salari”.

Queste le bugie di un tempo. Bugie rassicuranti raccontate da Governo e dirigenze sindacali per far digerire un accordo che i lavoratori avevano rifiutato con un referendum mesi prima. Bugie che hanno fatto il gioco di un'azienda spietata, che ha rimesso tutto in discussione già in autunno. Perché aver ceduto a Maggio ha soltanto alimentato l'arroganza di chi per anni è andato avanti usando la minaccia dei licenziamenti per ottenere soldi pubblici.

E che adesso voleva di più: taglio del "costo del lavoro", cioè taglio del salario, cancellazione degli scatti di anzianità, ecc. E ancor più gratuito e odioso: il controllo individuale. Perché i lavoratori sono bambini scalmanati da controllare uno per uno, col ricatto permanente di essere mandati a casa se sgarrano, e allora bisogna monitorarli perché siano abbastanza "produttivi" e garantiscano i profitti dovuti.

Così spuntano di nuovo fuori quelle proposte inaccettabili che ci si era detti di non essere disposti neanche ad ascoltare. E ricominciano i presidi sotto al MISE, gli scioperi, i blocchi del traffico. Ma l'azienda non vuole muovere un passo e il risultato è lo stallo completo. Il Governo allora ci mette una ridicola pezza: proroga di 3 mesi con altri soldi pubblici che coprano intanto la cassa integrazione, per poi tornare a proporre taglio del costo del lavoro e controllo a distanza. E se non passeranno si procederà con i licenziamenti.


Una manovra che non risolve niente, buona giusta per i titoli dei principali giornali e telegiornali italiani che hanno parlato di "salvataggio di 2500 lavoratori" ancor prima che l'accordo fosse firmato!
E per farlo passare il Governo ha tirato fuori il coniglio dal cappello: scorporare la vertenza nei due siti di Napoli e Roma, che finora avevano viaggiato insieme e che secondo gli accordi pregressi insieme dovevano continuare a viaggiare.

Napoli si piega, Roma reagisce e le RSU, sotto il mandato e il controllo stretto dei lavoratori, dicono di NO. Un evento epocale, contro cui si scatenano subito Governo, giornali e addirittura la CISL, che i lavoratori dovrebbero difenderli. "Irresponsabili" questa la definizione chi ha detto NO all'ennesimo ricatto a costo di enormi sacrifici personali e così rotto il teatrino natalizio dei salvatori della patria. Persone pronte a sacrificare il proprio interesse individuale per difendere quello collettivo, perché cedendo qui si apre la pista a misure infami come queste per tutto il settore, per migliaia di lavoratori. Esempi per questo paese, serviti in pasto all'opinione pubblica come fossero terroristi. Perché per loro responsabile è chi accetta di essere un servo pur di lavorare.

E l'idea diventa subito quella di giocare uno stabilimento contro l'altro, con Napoli che potrà magari sopravvivere anche grazie alla resa di Roma, prendendosi qualche commessa, chi sa. E subito si fa leva sulle paure di quella massa di lavoratori romani che non aveva partecipato alla battaglia e che ora si rende conto di essere in mezzo a una strada. E i sindacati, anziché rafforzare le posizioni di chi ha avuto il coraggio di dire NO, si ergono a portavoce di quella maggioranza (secondo loro) "silenziosa" che ora, terrorizzata, pensa a quello che gli succederà e vuole tornare indietro, pregare che gli vengano elargite anche solo quelle poche briciole. La CISL comincia a raccogliere le firme per ritirare quel NO firmato anche dalla propria RSU, tornata sui propri passi con una scandalosa intervista su Repubblica in cui quasi sostiene di essere stata costretta a votare in questa direzione. La CGIL si copre dietro un referendum, in cui ogni lavoratore sarà "libero" di esprimere la propria volontà, cioè sarà lasciato solo in un'urna davanti al ricatto di perdere tutto o provare a rincorrere almeno il miraggio di avere qualcosina.

Ma la cosiddetta minoranza che ha finora lottato interpreta gli interessi della stragrande maggioranza dei lavoratori. Non solo dell'azienda, ma anche del settore, dove proprio ora è saltato il tavolo del rinnovo contrattuale in cui i padroni chiedevano proprio controlli a distanza, maggiore flessibilità sugli orari, il superamento dei cosiddetti automatismi (scatti di anzianità). 
Per questo noi continueremo a sostenerla, a partire dalla giornata di ieri, in cui eravamo con loro a volantinare davanti alla sede dove si svolgerà il referendum.




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