martedì 12 gennaio 2016 - Giovanni Graziano Manca

Addio a David Bowie. Il suo ultimo disco

Il destino è beffardo e imprevedibile per tutti, perfino nei confronti delle rockstar. Un anno fa, di questi giorni, ci portava via uno dei maggiori autori dell’italian sound, Pino Daniele, che con il linguaggio della black music, della melodia e del Jazz ha fatto cantare all’Italia intera canzoni spesso cantate in quel meraviglioso dialetto che è il dialetto napoletano. Il 10 di Gennaio u.s., a Manhattan in quel di New York, s’è preso David Bowie, uno dei più grandi e innovativi frontmen, musicisti e cantanti che la musica rock sia mai riuscita a esprimere. Destino beffardo perché è riuscito a privarci di due artisti che avrebbero potuto dare ancora tanto, insieme alla musica e alla poesia dei loro testi che già conosciamo, perché ha fatto mancare due punti di riferimento irremovibili per le nuove generazioni di musicisti e cantanti, perché volenti o nolenti, con ciascuno di loro scompare definitivamente uno dei simboli della giovinezza di chi come me appartiene alla passata generazione o a due generazioni fa.

La morte di Bowie. David Bowie è scomparso appena avantieri a neanche settant’anni a causa di una malattia che non lascia speranze. Folk song, avanguardia pop, glam, rock, soul, elettronica, disco music di lusso, Jazz ed anche altro: avendo ‘frequentato’ molte tendenze musicali ed avendo influenzato anche da produttore discografico il suono di molte celebrità del rock, Bowie è stato eclettico precursore e ispiratore di una miriade di musicisti e cantanti Pop e New Wave. Sempre avanti di una buona misura, comunque, rispetto a qualsiasi altro, dal momento che David è stato tra i pochissimi artisti a lasciare veramente il segno sulla cultura e sul costume del suo tempo. Lou Reed, Dylan, gli Spiders from Mars di Mick Ronson, Brian Eno, Andy Warhol, i Tin Machine, sono alcuni degli amici che in qualche modo, nel corso degli anni, hanno accompagnato il percorso artistico di Bowie. Ancora in queste ore si rincorrono i messaggi di cordoglio e il ricordo di molti colleghi dell’universo musicale mondiale, i saluti estremi a uno dei più grandi talenti artistici che l’ultimo secolo abbia conosciuto. 

Blackstar, il suo ultimo disco.  Stupisce la freschezza e il suono senza tempo dell’ultimo lavoro discografico di Bowie. Il caso ha voluto che Blackstar uscisse l’otto di Gennaio, due giorni prima, cioè, della dipartita di David. Sette tracce (alcune delle quali di durata superiore alla media cui Bowie ci aveva abituato, una quarantina di minuti in tutto), sette perle che finiscono per comporre uno dei massimi, forse, capolavori della popstar britannica. Blackstar , 'Tis a Pity She Was a Whore, Lazarus, Sue (Or in a Season of Crime), Girl Loves Me, Dollar Days, I Can't Give Everything Away sono le sette canzoni all’interno delle quali dominano rock, elettronica e jazz a profusione. Sono questi gli ingredienti base di un disco che impiega massicciamente strumenti a tastiera (il pianoforte, l’organo e le altre tastiere sono suonate da Jason Lindner) e fiati (Donny McCaslin al flauto e al sassofono). La voce di David appare in forma smagliante e sempre riconoscibilissima, mentre le linee melodiche di alcune delle canzoni (Dollar Days, I Can't Give Everything Away) sembrano provenire direttamente dai dischi di Bowie usciti nel passato.

Guarda quassù, canta David in una delle canzoni del disco, sono in paradiso/Ho delle cicatrici che non possono essere viste/Ho una storia che non può essermi rubata/Ora tutti lo sanno/Guarda quassù, amico, sono in pericolo/Non ho nulla da perdere. Parole che suonano come una premonizione, come una sorta di testamento mascherato stilato da un artista che sa di aver lasciato molto a coloro che lo hanno amato.




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